Selene non ce l’ha fatta, il suo corpo era su un divano, sepolto sotto pietre, cemento e ferro accartocciato. Con lei, il suo bimbo che portava in grembo. Si sarebbe chiamato Samuele, il parto era programmato per domani. Quando estraggono il corpo dell’infermiera i pompieri, che lavorano senza tregua da sabato sera, non riescono a trattenere le lacrime.

Poche decine di metri più in là più in là, dietro le transenne, l’urlo straziante della madre di Selene: «Non voglio più vivere, non voglio, lasciate morire anche me». Si piange in via Trilussa, davanti alla montagna di macerie. «Speravamo di trovarla viva, è come se fosse stata un po’ la figlia di tutti».,, si commuove Maria Rita Cocciufa, prefetta di Agrigento. Giuseppe Merendino, comandante dei vigili del fuoco, si porta le mani ai capelli. Il miracolo di Natale non c’è stato. Accanto al corpo della donna sono stati trovati anche i cadaveri del marito Giuseppe, del suocero Angelo e della suocera Enza Zagarrio.
«Abbiamo lavorato tutta la notte per spostare le macerie con i mezzi – racconta Fabio Gulino, della squadra Usar dei vigili del fuoco – Attorno alle 6.30 abbiamo intravisto il primo corpo e subito dopo c’erano tutti gli altri, erano vicini».

C’è un motivo per cui i loro corpi siano stati recuperati solo 48 ore dopo il crollo delle palazzine. Selene aveva telefonata al padre poco prima dell’esplosione: “Siamo usciti, stiamo arrivando” aveva detto. E l’uomo lo ha raccontato ai soccorritori, dicendo loro che la figlia era già in strada. Così si è scavato prima in corrispondenza di via Trilussa e solo dopo si è tornati sul palazzo. “Sarebbero bastati cinque minuti e si sarebbe salvata”, scuote la testa Merendino. Ora mancano Calogero e Giuseppe, padre e figlio.

Calogero, 88 anni, abitava in via Trilussa 62; Giuseppe, 59 anni era andato da lui per fargli un favore. Per tutto il giorno li hanno cercati in quell’appartamento: hanno trovato i telefoni, i documenti, ma di loro non c’è traccia. Forse non erano ancora rientrati in casa: Giuseppe doveva solo posteggiare l’auto del padre in garage. Poi sarebbe dovuto salire, consegnare le chiavi e andare via. Potrebbe quindi essere sceso il padre ma se così è andata bisognerà aspettare che rimuovano tutte le macerie del palazzo prima di trovarli. Ad aspettarli, nascoste tra i giornalisti, i soccorritori e i curiosi, ci sono due donne: una è Eliana, la moglie di Giuseppe, l’altra è suor Agata, la sorella, con il saio bianco, i sandali e un rosario in mano. Entrambe non staccano lo sguardo da quel cumulo di macerie, gli occhi dalle pale meccaniche che spostano pezzi di cemento. Mentre i vigili del fuoco continuano a scavare, in Procura ad Agrigento gli inquirenti, che hanno aperto un fascicolo per disastro e omicidio colposo al momento contro ignoti, lavorano sotto traccia con l’obiettivo di dare una risposta il prima possibile alle famiglie che piangono i morti e a quelle che hanno perso le case ridotte in macerie dall’esplosione che ha sconvolto questo paese di poco più di 11 mila abitanti.

Nell’attesa che entrino in scena i periti per analizzare dal punto di vista tecnico la rete del gas da cui sarebbe partita la perdita che avrebbe provocato la deflagrazione, i pm stanno acquisendo carte e documenti relativi alle manutenzioni del metanodotto. Dalle prime verifiche, i carabinieri avrebbero appurato che cinque giorni prima della strage ci sarebbe stato un intervento di manutenzione ordinaria sull’impianto; controlli, pare, che non avrebbero evidenziato alcuna criticità. Ora dovranno acquisire il verbale d’intervento per verificare chi abbia materialmente eseguito il collaudo e se sia stato fatto a regola d’arte.

Documenti saranno acquisiti alla Italgas, la società che gestisce la rete, e nelle ditte sub appaltatrici cui vengono affidate le manutenzioni. Per tutta la giornata sono invece stati ascoltati decine di abitanti della zona e anche i tecnici per cercare riscontri alla voce, sostenuta anche da un consigliere comunale, in base alla quale nei giorni scorsi si sarebbe sentito un odore di gas proprio nella zona in cui poi c’è stata l’esplosione. “Allo stato – spiega Vittorio Stingo, comandante provinciale dei carabinieri di Agrigento – nessuno ha confermato l’ipotesi. Non ci sono state segnalazioni né a noi né all’Italgas né all’amministrazione comunale. In ogni caso continueremo a fare tutti gli accertamenti necessari per verificare questa voce”.

Quanto alle cause che hanno provocato l’accumulo di gas nel sottosuolo, il colonnello sostiene che al momento non è possibile stabilirle. “Potrebbe essere stata una frana, questa è una zona con una elevata fragilità idrogeologica, ma non è escluso neanche che ci possa essere una cavità sotterranea naturale. Non lo sappiamo ancora, lo potremo verificare quando saranno rimosse le macerie”, dice. Proprio in questi giorni sarebbero dovuti partire i lavori nella zona sud-est di Ravanusa per “la messa in sicurezza e per l’aumento della resilienza dei territori più esposti a rischio idrogeologico e di erosione costiera”, opere finanziate dalla Regione siciliana per quasi 5 milioni di euro attraverso fondi comunitari.

Gli investigatori acquisiranno anche la relazione degli amministratori giudiziari nominati dal tribunale di Palermo nel procedimento di prevenzione che interessò Italgas nel 2014: in quel documento “scrivevano che Il 76% delle tratte” doveva “essere sottoposto con urgenza a un intervento di risanamento” dopo aver controllato, attraverso un pool di tecnici, la rete del metano gestita dalla società. I controlli avevano riguardato mezza Italia e anche gli impianti dell’Agrigentino.