Sarebbe fin troppo semplice spiegare il nuovo libro di Gianluca Barbera L’ultima notte di Raul Gardini (Chiarelettere, pp. 324, euro 18,60) come il romanzo di Tangentopoli o quale vita (spericolata), morte (sospetta) e miracoli (da boom economico) di un personaggio scomodo alla società italiana, soprattutto quella degli anni Ottanta e Novanta. L’autore è un intellettuale colto, raffinato, multiforme per cadere nella trappola del biopic sensazionalista. Eppure, fin dalla sua uscita, il testo è stato accolto proprio come fosse una resa dei conti (provvisoria) verso una stagione ambigua, contraddittoria, ipocrita della realtà politica, industriale, finanziaria di un Paese a un passo dal berlusconismo, ma con un piede già dentro il pensiero debole, il dopostoria e la fine delle ideologie.

PER INSCENARE questa tragicommedia senza vincitori né vinti, Barbera ricorre a terzi, abbandonando la contrapposizione buoni/cattivi, favorendo invece un personaggio astratto, così da interrogarsi sul ruolo della letteratura nei confronti di argomenti scottanti, sempre attuali, in una storia civica nazionale, che dal dopoguerra a oggi trova spazio anche nella fiction fino alla carta stampata (caso Mattei, piazza Fontana, sequestro Moro, Falcone /Borsellino, eccetera).
Barbera dunque si inventa il proprio alter ego Marco Rocca – nulla a che vedere con il vero redattore di Quattroruote – cronista a caccia di scoop e verità, ma anche tormentato da una deontologia professionale quasi messianica, pur nei rischi del mestiere; a questo punto non ha importanza chiedersi perché Rocca scarti l’ipotesi del suicidio di Gardini e voglia «vederci chiaro» entro le trame del potere, gli ingorghi dell’imprenditoria, le saghe familiari tanto resistenti quanto fragili: a un’attenta lettura si capisce quasi subito che non è alla ricerca di uno o più colpevoli, ma di se stesso, confermandosi un archetipo letterario di rinnovato valore espressivo, sulla scia dei detective proletari alla Marlowe, che conducono, un po’ donchisciottescamente, la propria lotta di classe contro un nemico abnorme.

Certo, per poter fronteggiare ad armi pari tutti quelli che si oppongono a far luce sull’ultima notte di Raul Gardini, Rocca si mette un po’ da parte e lascia che sia l’autore, con oliati stratagemmi da montaggio cinematografico (flashback, ritmi serrati, immagini alternate, campi e controcampi), a focalizzare il protagonista ufficiale, tratteggiato quale imprenditore fuori da comune: origini ravennate, famiglia paterna di coltivatori benestanti, studi in agraria, matrimonio con Idina Ferruzzi, figlia di Serafino, al comando del gruppo Ferruzzi alla morte del suocero, schiantatosi in un incidente aereo dalla strana dinamica.

BARBERA RIBADISCE inoltre l’idea del Gardini solitario, individualista, parvenu nel cosiddetto salotto buono del capitalismo italiano, anche se molti di coloro che lo frequentano lo ritengono genio, esteta, visionario, ma disposto a tutto pur di realizzare i propri sogni, inclusa la metamorfosi del sistema economico in un inedito modello di bioeconomia avvenirista. Il libro racconta che non verrà mai a galla la verità sulla sua fine, benché l’autore sia convinto che quella morte abbia deviato il corso del processo Enimont e di conseguenza anche quello della storia del nostro Paese. Glielo fa riconoscere persino al grande accusatore Antonio Di Pietro: «Per me la sua morte è stata un colpo molto duro, quasi un coitus interruptus. Il suo interrogatorio avrebbe rappresentato una svolta per l’inchiesta e per la storia d’Italia. Avrebbe fatto i nomi dei beneficiari della tangente Enimont da centocinquanta miliardi. Se l’avessi fatto arrestare subito, quella stessa notte, sarebbe ancora qui con noi. È stato questo il mio errore. Quella doveva essere una giornata decisiva per Mani Pulite, purtroppo non è mai cominciata». Chissà invece se comincerà una nuova vita per Marco Rocca dopo le magagne con fratello e fidanzata?