Il Venezuela e il presidente Nicolás Maduro «non sono soli ..continueranno ad avere i cubani schierati in prima fila della solidarietà militante e totalmente compromessa con la loro causa». In una lettera inviata al capo di Stato venezuelano il presidente Raúl Castro ha ribadito il sostegno dell’Avana all’Assemblea nazionale costituente il cui «lavoro rappresenta una valente lezione che fa del Venezuela un simbolo per il nostro continente».

Il leader cubano non ha dubbi: «verranno giorni di forte lotta, di persecuzione internazionale, di embargo economico, di limitazioni, ma saranno anche giorni di creatività e lavoro per i rivoluzionari e per tutto il popolo venezuelano». In linea con le dichiarazioni del presidente, Cuba si è «schierata in prima fila» nella riunione del Consiglio politico dell’Alba – Alleanza bolivariana, composta da undici paesi dell’America latina e del Caribe – che martedì scorso si è riunito a Caracas per esprimere il proprio sostegno all’opera della Costituente e ribadire che si opporrà alle «manovre» dell’Organizzazione degli Stati americani (Oea) per intervenire negli affari interni del Venezuela. Quasi in contemporanea in Perù i rappresentanti di dodici stati latinoamericani –con alla testa Brasile, Argentina, Messico e Colombia- hanno espresso la loro condanna alla «linea antidemocratica» del presidente Maduro e la decisione di non riconoscere la Costituente.
Che Cuba, con Bolivia e Nicaragua, sia in prima fila nel difendere la radicalizzazione politica impressa da Maduro non rappresenta una novità. Lo scomparso presidente Hugo Chavez ha sempre dichiarato di aver avuto come faro politico Fidel Castro e la rivoluzione cubana. E il suo «erede» Maduro ne segue la linea e in ogni occasione decisiva consulta il vertice politico cubano.

L’obiettivo della Costituente venezuelana – questa l’opinione di vari commentatori – «si ispira» al Poder popular cubano, all’architettura politico-istituzionale in vigore nell’isola con la Costituzione del 1976.

Per l’Avana il Venezuela rappresenta il principale partner economico – da cui riceve circa 5 miliardi di dollari l’anno in forniture petrolifere in cambio del lavoro di cooperanti cubani impegnati in varie misiones in Venezuela. Le cifre ufficiali non si conoscono ma alcuni economisti sostengono che il Venezuela contribuisca per quasi il 20% al Pil cubano. Altrettanto importante per Cuba è il ruolo del Venezuela nella presente congiuntura politica latinoamericana, quando, secondo una teoria in voga nel subcontinente, il pendolo della storia corre verso il neoliberismo con governi di destra nei principali paesi latinoamericani e con Trump che pare voler fare marcia indietro sull’isola rispetto a Obama.

Appoggiare il presidente Maduro e il movimento chavista è dunque un obiettivo strategico per l’Avana. I destini dei due governi appaiono legati. Non passa giorno che la stampa internazionale, e quella italiana non fa accezione, accusi Maduro di «essere una marionetta di Castro» e che i servizi segreti cubani «dettino legge» in Venezuela, che i cooperanti cubani – in grande maggioranza impegnati in missioni mediche e nell’istruzione- siano in realtà agenti del comunismo dell’isola e via dicendo.

In sostanza la linea che viene presentata da un massiccio schieramento internazionale è che «bisogna andare alla fonte» del processo di radicalizzazione in corso in Venezuela – drasticamente definito «una dittatura»- ovvero al castrismo. Per abbattere Maduro (come ieri era per Chavez) bisogna colpire i Castro, oggi Raúl in passato Fidel. Lo ha detto chiaro il Wall Street Journal: qualsiasi strategia per mettere fine alla «dittatura» di Maduro «deve cominciare ammettendo che Castro comanda a Caracas, il suo controllo di questa nazione petrolifera è parte di un’ampia strategia di espansione regionale ed è lui (Castro) che deve essere sanzionato».

Quello di «andare alla fonte» e colpire Cuba è un vecchio leitmotiv perseguito da quasi tutte le amministrazioni statunitensi. Nel marzo 1981 – vedasi il libro Diplomazia segreta con Cuba di Leogrande e Kornbluh – due mesi dopo che Ronald Reagan si installò alla Casa bianca il segretario di Stato, generale Alexander Haig, propose di invadere Cuba per mettere fine alla «guerrilla marxista» in El Salvador. In seguito per Grenada e Nicaragua le minacce furono ripetute. Oggi bontà di tali commentatori non si tratta di invadere Cuba ma solo che «tutta la comunità internazionale» esiga che «gli interventisti» castristi lascino il Venezuela e che, invece di appoggiare le sue riforme, si applichino sanzioni al governo dell’Avana. Ovvero che l’embargo continui e sia rafforzato.