Ratigher è stato membro dei Superamici, ribattezzati in tempi più recenti Fratelli del Cielo, un collettivo di fumettisti formato da Tuono Pettinato, Maicol e Mirco, Dott. Pira e LRNZ. Ha pubblicato per editori indipendenti (GRRRZetic, Saldapress) ma soprattutto ha percorso in lungo e in largo le strade dell’autoproduzione, ideando un sistema autonomo di produzione/distribuzione. La sua originalità e le sue idee chiare lo hanno voluto alla corte di Coconino. A tre anni suonati dalla sua nomina come direttore editoriale del marchio storico, abbiamo parlato della sua traiettoria.

Intanto, giusto per chi non ha mai cercato il tuo nome su Google: perché Ratigher?
Mi piaceva come suonava, breve, scorrevole ma duro, quei nomi che potrebbero essere tedeschi e americani, con una buona dose di consonanti tipo Ballard, Corman o Corben. Non voglio semplificare troppo la vita a chi ci legge, cercate con google per conoscere nel dettaglio l’origine giallognola. Posso però aggiungere qualcosa che non viene rivelato da nessun algoritmo: dopo tanti anni ho ricordato che il suono era tanto simile a Rudiger, il protagonista della prima saga letteraria che mi rapì da ragazzino, Vampiretto (illustrato da Amelie Glienke).

Bologna, anni zero: hai iniziato a fare fumetti e dischi autoprodotti con Tuono Pettinato, poi ci sono stati i SuperAmici. Vi hanno unito gusti e letture simili (per esempio la passione per i Ronfi di Adriano Carnevali) o le medesime idee rispetto al mondo editoriale?
Ci ha unito la pigrizia e l’allergia al serioso: quando stavamo per capitolare avevamo il compito di buttarci di nascosto quei costosi antistaminici che ti permettono di stare in società come uno stoccafisso che dice di saper qualcosa. Abbiamo buttato via anche tanti pomeriggi, momenti molto importanti che ci hanno permesso di vivere poche ma entusiasmanti nottate da draghi marini. Dell’editoria all’inizio non ce ne importava molto, ci interessavamo principalmente di musica suonata a volume lava.

Sei stato un lettore di supereroi Marvel nella fase della «rinascita» degli anni ’90, ma il tuo stile si distacca completamente dal mainstream… oppure esiste un legame, e c’è un punto dove mainstream e underground si toccano?
Non ho mai fatto scelte di campo merceologico. L’underground, o più precisamente nel mio caso, l’ambito delle autoproduzioni mi ha sempre interessato più dal punto di vista umano perché effettivamente ti obbliga a contatti più diretti, ti fa conoscere più persone e ti costringe a allenare l’empatia e aggiunge eros in dinamiche altrimenti spesso molto solitarie. Per il resto, buone storie e disegni si trovano ovunque e negli anni ‘90 andavo pazzo sia per L’Uomo Ragno di Erik Larsen che per Joe Galaxy di Massimo Mattioli, sia per Youngblood di Rob Liefield che per I Fumetti della Gleba di Dr. Pira.

Hai pubblicato su molte riviste, ma ti sei guardato da farlo- fatta eccezione per l’indipendente e curatissima edizione del tuo primo libro TRAMA per GRRRZETIC (2011)-dalle case editrici.
Cos’ è che non funziona nella produzione editoriale?

Non funzionavo io, non ero ancora sicuro dei miei mezzi e non volevo delegare il rischio di impresa ad un editore. E poi volevo curare ogni aspetto del libro senza dover sottostare a grafiche di collana.

Mettere in discussione il sistema di produzione e distribuzione del fumetto ti ha portato all’invenzione di Prima o Mai: nel 2014 hai fatto esplodere un caso con il tuo secondo libro Le ragazzine stanno perdendo il controllo,distribuito attraverso questo sistema di prevendita «chiuso». Quali differenze rispetto a un crowdfunding? È un sistema che si difende meglio dagli stati d’emergenza, rispetto alla filiera editoriale classica?
«Prima o Mai», che proprio in questi giorni sta promuovendo il suo sesto progetto, è un metodo di produzione che mette in vendita per un tempo limitato un’opera. Allo scadere del tempo stabilito vengono stampate solo le copie vendute e inviate ai singoli acquirenti e ai distributori. L’opera non sarà mai più ristampata, quindi o lo compri PRIMA o non lo potrai possedere MAI. La grande differenza con il crowdfunding è che non si chiede agli acquirenti il loro aiuto, non gli si chiede di prendere parte all’impresa, con il «Prima o Mai» le responsabilità rimangono dove devono essere a parer mio. Come autore non chiedo ai lettori se un libro ha diritto di esistere, come lettore non partecipo emotivamente a una metodologia commerciale. Esistono ovviamente tante eccezioni positive di crowdfunding, penso ad esempio al grande e variegato lavoro di Produzioni dal Basso, e conosco e non nego i limiti di «Prima o Mai», ma se non c’è rischio io non mi sento a mio agio.

Nel 2012 hai scritto e disegnato TRAMA un graphic novel innovativo seppur legato alla tradizione letteraria hard boiled. Di nuovo: underground non è quindi necessariamente il contrario di classico…
Dove nasci non dovrebbe limitare le prospettive del tuo agire, se vale per gli umani figuriamoci per le opere d’arte. I classici sono imponderabili, si impongono solo dopo aver scoperto di poter parlare alle platee più ampie senza abbindolarle. Agli hard boiled e a Chandler in particolare devo la scoperta di una meccanica narrativa a me congeniale, di una lingua con cui potermi esprimere con chiarezza, di un ritmo su cui posso poggiare qualsiasi storia che mi romba nella testa, con o senza pistole.

Dalla libertà insolente de Le ragazzine, agli obblighi che la tradizione bonelliana impone: come ti senti in veste di sceneggiatore di Dylan Dog?
I limiti e gli obblighi sono il perimetro necessario del mio lavoro, ho una lista stile Dogma che mi dà sicurezza, che mi permette di progettare grattacieli o baracche, sempre con le stesse fondamenta. Scrivere DYD aggiunge solo qualche limite in più a quelli che di solito mi autoimpongo, ma dovendomi occupare solo di sceneggiare, mi apro a un ventaglio di possibilità che il mio stile e la mia tecnica di disegno non mi permetterebbero. La vera complessità è sentirsi padri di un personaggio altrui, anche se lo conosci e lo ami, trovare la simbiosi necessaria è un processo che ha bisogno di tempo e di lavoro.

I tuoi libri cartacei sono introvabili, ma per un periodo si sono potuti scaricare gratuitamente in formato digitale. Fai leva su un certo feticismo del lettore? Oppure è un gesto di insubordinazione per rivalutare l’oggetto libro e chi lo produce?
Sto lavorando a un archivio online in cui raccoglierò tutti i miei fumetti da leggere gratuitamente. Faccio i libri per farli leggere, per procurare piacere agli altri, per dimostrar loro affetto. Non posso quindi limitare questo mio modo complesso di dare carezze solo a chi mi da dei soldi in cambio, è un concetto per me limpido che non ho mai messo in discussione. Chi invece paga per i miei fumetti deve avere un libro bello, il migliore che possa progettare. La storia è la stessa di un pdf scaricabile: se non è di tuo gradimento non ci sarà nessuna edizione cartonata che ti faccia cambiare idea, ma se invece la storia ti piace poterla leggere impressa in un oggetto prezioso aumenterà il suo potere. Non credo di parlare ai feticisti, cerco di realizzare oggetti che pulsino nelle librerie anche tanto tempo dopo la prima lettura.

Dopo quasi 4 anni, com’è l’esperienza di direttore editoriale di Coconino?
In continua mutazione. Ho aggiustato il tiro e capito bene cose che credevo semplici. Per me Coconino deve essere la casa editrice punto di partenza e punto d’arrivo: vorrei che il lettore a digiuno di fumetti si sentisse tranquillo nello scegliere un nostro titolo per iniziare a esplorare il medium e che al contempo significasse lavoro che dà il pane necessario agli autori in cerca di soluzioni più nuove, elaborate e coscienti, nella narrazione a fumetti. Coconino è la più longeva casa editrice di graphic novel; il tempo è fondamentale per acquisire il peso culturale necessario per guadagnare la profonda fiducia dei lettori. Mi impegno per permettere alla casa editrice di durare a lungo. L’effimera esistenza delle case editrici di fumetto ne ha sempre limitato la diffusione, cerco di far prosperare in Coconino sia la qualità dei nostri libri che la sostenibilità economica dell’impresa. Ai fumetti serve ancora tempo.