Quando, nella mattinata del 31 agosto, il Direttore delle Antichità e dei Musei siriani Maamoun Abdulkarim ha dichiarato che la struttura principale e le colonne del tempio di Bêl erano ancora visibili da lontano, non abbiamo pensato a un miraggio ma a quella «salvezza», degno dono di una divinità, che il mondo auspica per la Città carovaniera. Solo una settimana fa, gli uomini del Califfo avevano infatti divulgato il foto-racconto del fatale assalto dinamitardo alla dimora di Baalshamin, il «Signore dei cieli». Le foto satellitari diffuse ieri dalla Bbc hanno però spento ogni illusione: anche il santuario di Bêl ha subìto una devastazione radicale. Un collage realizzato dall’Apsa, Association for the Protection of Syrian Archaeology, che dallo scoppio della guerra civile documenta i danni inflitti al patrimonio storico archeologico, affianca impietosamente un «prima e dopo». Del sontuoso monumento, scrigno del sublime mélange di culture che nell’arte e nell’architettura palmirena trova altissima espressione, non si conservano che i Propilei e il grande portale. Oltre la soglia che fu viaggio iniziatico di sacerdoti e fedeli, e poi accesso della conoscenza per esploratori e studiosi di ogni paese, il vuoto. Da qui, da questa incolmabile assenza, bisogna «ricostruire». Se infatti il lutto non ci restituirà le pietre ridotte in polvere, raccontarne la storia potrà perpetuare la loro memoria, là dove nessun esplosivo farà saltare in aria le tracce di un passato millenario né i bei volti degli «idoli» pre-islamici, i temibili demoni aborriti da Daesh.

bassorilievo con processione e simulacro di Bel su cammello1

Il complesso santuariale si presentava come un vasto quadrilatero – 200 metri di lunghezza per 205 metri di larghezza – recintato da 375 colonne di 18 metri. Il cortile, in conformità alle tradizioni semitiche, fu costruito sopra un terrazzamento (tell) e circondato da un’imponente muro, decorato sul lato interno da pilastri corinzi. Una scalinata monumentale conduceva al propileo, largo 35 metri. Su questa parte del monumento s’impiantò nel XII secolo una fortezza araba, costruita con materiali provenienti da edifici antichi. All’interno del temenos, già prima della distruzione da parte dell’Isis, non affioravano che i resti di strutture dove dovevano svolgersi un tempo banchetti cultuali.

Il tempio vero e proprio s’innalzava approssimativamente al centro dell’area sacra ed era caratterizzato da un aspetto composito. Costruito sopra un alto podio, possedeva un solo vano. Come ricorda un’iscrizione, fu consacrato il 6 aprile del 32 d.C. Sappiamo però da fonti epigrafiche che negli anni precedenti alcuni notabili di Palmira avevano fatto elargizioni in denaro per promuoverne la costruzione, iniziata probabilmente nel 19 d.C., quando la città venne annessa all’Impero Romano. Assieme a Bôl – dio indigeno originario dell’Oasi che, per assimilazione con il pantheon mesopotamico, ha finito per tramutare il suo nome in Bêl – sono ricordati nella dedica anche i suoi accoliti Iahribôl, Aglibôl e Malakbel.

panoramica del santuario dedicato al Dio Bêl

La lunga cella rettangolare era cinta da un colonnato «alla romana», ma una fila di merloni in stile partico ne ornava il tetto. In origine la porta doveva trovarsi sul lato Sud ma fu spostata ad Ovest, dove venne approntata anche una rampa d’ingresso. All’interno, le due estremità della cella erano occupate da due alte nicchie che ospitavano verosimilmente le immagini o i simboli delle divinità. Sul soffitto della nicchia Nord era raffigurato uno Zodiaco mentre quella Sud era sormontata da rosoni finemente cesellati. Un altro elemento di rilievo del tempio era un pregevole bassorilievo che ritraeva una processione o un rito di fondazione del santuario. Non potremo più scrutare dal vivo il mistero delle tre donne velate che seguono un cammello, trono ambulante del simulacro di Bêl e custode di oggetti proibiti allo sguardo dei fedeli, per questo nascosti dentro «cofanetti» ricoperti di stoffe. La perdita subita dal popolo siriano e dall’umanità tutta con la distruzione del Tempio di Bêl è incommensurabile.

internet Temple_of_Bel_in_Palmyra-U106010609687173ND--990x556@LaStampa.it

A niente sono serviti i ripetuti appelli di Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco, né le soluzioni commissionate a «esperti» e direttori di Musei. Davanti all’avanzata dello Stato Islamico, le rovine – le quali erano già state danneggiate da bombe e colpi di artiglieria dell’esercito di Assad – sono fragili come le palme dell’Oasi che le aveva accolte nel loro splendore. Senza più radici, anche noi siamo più soli. Da quando la furia iconoclasta dell’Isis si è scagliata su statue e monumenti, da Mosul a Nimrud, da Hatra a Palmira, in molti hanno rimproverato l’eccessivo dolore manifestato per tali perdite, non comparabili al valore delle migliaia di vite schiacciate quotidianamente sotto i barili di Tnt.

L’imperativo che soprattutto i governi occidentali dovrebbero porsi non è salvare Palmira dall’Isis, ma la Siria dalla guerra. Se la pace abitasse la Siria, non dovremo più chiederci se sia giusto piangere prima uomini o pietre.