Circa 19mila civili uccisi e 40 mila feriti tra l’inizio del 2014 e il 31 ottobre 2015, oltre a 3,2 milioni di sfollati interni. Sono stime al ribasso, che tengono conto solo delle vittime causate da qua o servizi medici essenziali. Ma bastano a dare il quadro e la misura della violenza «sconvolgente», come la definisce un nuovo rapporto delle Nazioni unite, come quella che flagella il già martoriato Iraq.

L’Onu punta il dito sullo Stato islamico per le violenze sistematiche inflitte ai civili e in particolare per i 3.500 prigionieri, in maggioranza donne e bambini, trattenuti in stato di schiavitù azioni violente, escludendo i morti per mancanza di accesso a cibo, acdai miliziani del Daesh. Ma non manca di rilevare e stigmatizzare abusi commessi dall’esercito iracheno, dalle varie milizie in campo e dalle forze kurde. Il report dell’Unami (United Nations Assistance Mission for Iraq) ha raccolto un po’ in tutto il paese le testimonianze di profughi e sopravvissuti.

Secondo l’alto commissario per i diritti umani dell’Onu Zeid Raad Al Hussein, è un lavoro che «illustra con chiarezza da cosa fuggono i rifugiati iracheni che cercano di raggiungere l’Europa e altre regioni. È l’orrore – aggiunge Al Hussein – con cui devono confrontarsi nella loro terra».