Nel 2012 fu il ministro delle Politiche agricole del governo Monti a presentare il primo disegno di legge per il contenimento del consumo di suolo. Sei anni dopo, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha scelto la camera dei deputati per presentare il nuovo Rapporto 2018 sul consumo di suolo in Italia, perché una legge non c’è ancora e la cementificazione continua: nell’ultimo anno le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 54 chilometri quadrati di territorio, circa 15 ettari al giorno o 2 metri quadrati al secondo.

È VERO CHE DIECI ANNI FA, prima della crisi economica, si era arrivati agli 8 metri quadrati al secondo, ma il ridimensionamento non fa sorridere nessuno all’Ispra: «In assenza di interventi strutturali e di un quadro di indirizzo nazionale», sottolinea il rapporto, i dati confermano «la mancanza del disaccoppiamento tra la crescita economica e la trasformazione del suolo naturale».

Se l’economia cresce, lo fa consumando suolo: l’Italia è ancora una Repubblica fondata sul cemento, che copre aree naturali e agricole con l’asfalto. L’onda grigia s’allarga anche attraverso l’espansione di aree urbane, «spesso a bassa densità», e questo nonostante le statistiche dell’Istat indichino che dal 2015 i residenti in Italia sono in discesa.

È per questo che il convegno di ieri nella Sala della Regina di Montecitorio, presente il ministro dell’ambiente Sergio Costa, è stata anche l’occasione per ribadire l’esigenza di una legge nazionale per fermare il consumo di suolo, un concetto declinato in modo diverso alla camera e al senato nelle proposte e disegni di legge presentati nel corso della nuova legislatura iniziata a marzo: «Arresto del consumo di suolo» (Daga, M5S), «riduzione del consumo del suolo» (Muroni e De Petris, LEU), «contenimento del consumo del suolo» (Braga, Pd). Il testo depositato dai 5 Stelle è quello elaborato da un gruppo di 75 esperti per conto del Forum “Salviamo il paesaggio!”.

I DATI DELL’ISPRA LASCIANO immaginare che l’unica soluzione vera sia oggi l’arresto, immediato, del consumo di suolo. Perché è vero che la superficie complessiva già compromessa è pari a 23.062 chilometri quadrati, e quindi al 7,65% di quella totale del Paese, ma lo è anche che alcune regioni superano abbondantemente il dieci per cento, come la Lombardia (12,99%) e il Veneto (12,35%). E che nel 2017 è in questi territori già compromessi che si è registrata la maggiore variazione di suolo consumato in termini assoluti: più 11,3 chilometri quadrati in Veneto, dov’è avvenuto oltre un quinto delle trasformazioni registrate a livello nazionale; più 6 chilometri quadrati in Lombardia.

Se poi l’occhio vuole scendere in profondità, può rendersi conto che ci sono intere province in cui un terzo del suolo è ormai artificiale, come Monza e Brianza (41%), Napoli (34%) e Milano (32%), o altre dove il cemento copre circa un quinto della superficie, come Trieste (23%), Varese (22%) e Padova (19%). Appena quattro, invece, quelle che restano sotto la soglia del 3%, e sono il Verbano-Cusio-Ossola (2,85%), Matera (2,87%), Nuoro (2,89%) e Aosta (2,91%).

A livello comunale, il quadro si fa ancora più complesso: ci sono almeno 55 Comuni che superano ormai il 55% della superficie consumata, e sono per lo più nel napoletano, nel milanese, in Brianza o in provincia di Caserta. Nel comune di Torino è ormai artificiale il 65,7% della superficie. In Lombardia, un tris supera il 64% (Lissone, Sesto San Giovanni e Cusano Milanino), mentre in Veneto Padova continua la corsa verso il 50% (è al 49,4%). Anche Aosta supera il 30 per cento, dieci volte la media regionale. In termini assoluti, il comune più «oltraggiato» d’Italia è quello della Capitale: la superficie consumata a Roma è pari a 31.697 ettari, con una crescita di ulteriori 36 ettari nel 2017. È proprio a livello municipale che l’Ispra individua alcune tendenze, come il ruolo «delle grandi opere infrastrutturali e il tema della logistica», su cui ha posto l’accento nel suo intervento Michele Munafò, curatore del Rapporto. A Vercelli, in particolare, nel corso del 2017 sono stati trasformati 44 ettari, per realizzate il polo Amazon: «Visto dall’alto è impressionante. È quasi un nuovo quartiere della città: è un esempio e un simbolo evidente di ciò che sta avvenendo, delle direttrici del consumo di suolo».

ECCO PERCHÉ NON DEVE meravigliarci se non sappiamo rintracciare su un cartina dell’Italia il comune che guida la classifica del consumo di suolo nel 2017. È Sissa Trecasali, nella Bassa parmense, e ha doppiato Roma: qui la misura del suolo agricolo cancellato è pari a ben 74 ettari, ma non c’è nessuna corsa di nuovi abitanti, nessuna lottizzazione residenziale né centro commerciale in costruzione. È tutta colpa della Ti-Bre, cioè del primo lotto dell’autostrada che dovrebbe collegare l’A15 all’A22, tra Parma e Rolo-Reggiolo. Ad aprile La Stampa titolava un reportage «Nove chilometri verso il nulla». Perché dell’autostrada è autorizzata solo una breve tratta, e si fermerà in una minuscola frazione di Sissa Trecasali.