Salt Pit era una delle prigioni segrete di Kabul. Buchi neri dove si svolgevano interrogatori a colpi di acqua gelata nelle vie respiratorie sino al soffocamento. Adesso una nuova luce rivela non solo la rete di quei black site ma anche l’inganno che per oltre dieci anni li ha coperti.

Se gli americani sono spesso disposti a chiudere un occhio sulle malefatte di chi li governa o dovrebbe difenderne diritti e sicurezza, detestano essere ingannati, fuorviati, presi in giro. E invece così è stato per anni da parte della Cia le cui zone d’ombra erano note ma che adesso sono l’oggetto di un’accusa precisa, documentata e super dettagliata contenuta in un rapporto preparato dal Senate Intelligence Committee, i cui contenuti sono stati rivelati ieri dal Washington Post in prima pagina.

Il rapporto, scrive il quotidiano americano, sarebbe la disamina di gran lunga più completa fatta sino ad oggi del programma segretissimo che fu istituito a pochi mesi del 11 Settembre del 2001, quando l’attacco alle Torri Gemelle creò una diffusa psicosi e la condizione ideale per farlo partire. Il rapporto del Senato americano è stato preparato sulla base di dettagliate ricostruzioni che riguardano decine di prigionieri della Central Intelligence Agency e documenta un «modello di lunga data» nel quale i funzionari si servivano di dichiarazioni infondate e tecniche di interrogatorio «atroci» i cui risultati sono stati alquanto modesti.

Lo schema era quello di esagerare la pericolosità dei prigionieri e di metter loro addosso un tale terrore da farli confessare pur di non sottostare a tecniche di interrogatorio ancora più dure.

Il documento di 6300 pagine, che getta nuova luce su una tentacolare rete di prigioni o black site in cui interrogare i sospettati e che resta secretato, sarebbe comunque un bel regalo per Obama che, secondo il Post, ne esce bene. Sarebbe stata la sua Amministrazione infatti a smantellare la rete messa in piedi dal suo predecessore durante il capitolo forse più buio della storia americana contemporanea, diventato famoso per le extraordinary rendition, gli interrogatori a colpi di tortura e il prolungamento del regno del terrore di Guantanamo, la prigione in territorio cubano (che Obama aveva promesso di chiudere senza mai arrivare a farlo).

Il Comitato senatoriale dovrebbe ora chiedere al presidente il permesso di declassificare almeno un sintesi del rapporto che, pur non raccomandando nuove sanzioni ai funzionari della Cia, è destinato a riaprire il dibatto sui metodi e sulla qualità del suo rapporto con le branche dell’esecutivo, come il dipartimento di Giustizia, cui gli 007 americani hanno più volte nascosto la verità o l’hanno raccontata in maniera molto edulcorata. Comitato e Cia si sarebbero del resto già accusati reciprocamente di aver violato i rispettivi sistemi informativi, minacciandosi a vicenda azioni legali dai risvolti penali.

E non è tutto. Secondo il Post, le polemiche relative al rapporto potrebbero anche riaccendere una lunga faida che oppone la Cia all’Fbi, la polizia federale che non ha mai mancato di sollevare dubbi sui metodi della centrale di spionaggio nazionale. Alcuni veterani della Cia non hanno infatti mancato di far rilevare al giornale che uno dei principali autori del rapporto è un ex analista dell’Fbi. Un altro pezzo della guerra infinita e ormai non più tanto segreta tra intelligence.

La sintesi dell’indagine dice in sostanza che non furono mai i metodi raccapriccianti descritti in centinaia di file, rapporti, documentazioni tra i vari livelli, a procurare informazioni vitali per la sicurezza del Paese e per combattere le reti terroristiche. Alla fine, quei metodi non solo erano dannosi ma anche inutili. La corposa ricerca in tre volumi – gran parte della quale resterà segreta per decenni – è suddivisa per argomento: il primo tomo fa una cronologia dei vari interrogatori, il secondo dà conto delle valutazioni e rivendicazioni dei funzionari dell’intelligence, il terzo contiene i casi relativi a ogni prigioniero tenuto in custodia della Cia, a partire dal programma voluto da Bush dopo il 2001. Un pezzo di storia che, come sappiamo, riguarda anche l’Italia e i Paesi alleati oltreché i campi di battaglia: dall’Iraq alla Thailandia, dall’Afghanistan al Pakistan.