Cresce il Pil, aumenta la povertà, in particolare al Sud. È la doppia velocità della «crescita» che potrebbe essere corretta dagli investimenti del piano di «ripresa e resilienza» (Pnrr) che destina il 40% delle risorse al Mezzogiorno anche se gli enti locali potrebbero non essere in grado di gestirli. Lo sostiene il rapporto Svimez 2021. Emerge così il ritratto di un paese dove il rimbalzo tecnico dell’economia (+6,2% dice l’Istat) dopo il crollo provocato dal congelamento della domanda e dell’offerta per contenere la diffusione del Covid può non mutare e, anzi, aggravare la storica divisione tra Centro-Nord e Sud del paese. Nel 2022 la Svimez prevede un aumento del Pil del +4,2% nel primo e del +4% nel secondo.

«IL NUOVO sentiero – è l’augurio il direttore Svimez Luca Bianchi – è un piano di investimenti che tenga insieme politica di sviluppo e politica di coesione. Per questo motivo l’impostazione del Pnrr può essere un elemento decisivo. La sfida sarà l’attuazione».

COSA rende «meno reattiva» l’economia del Mezzogiorno? La storia dell’economia politica, quella degli ultimi trent’anni: precarizzazione del lavoro e impoverimento di massa , definanziamento della spesa sociale e degli enti locali, fino al crescente indebitamento al punto da rischiare il fallimento. Il dato sulla povertà è noto, ma totalmente dimenticato dalla politica che continua a recitare il mantra del «Pnrr» sperando che i suoi salvifici effetti, nel prossimo decennio, servano a risolvere i problemi di oggi.

DUE MILIONI sono le famiglie in «povertà assoluta» in Italia: 5,6 milioni di persone, un milione in più solo nel 2020, l’anno del lockdown quasi generalizzato. Di queste, 775 mila vivono nelle regioni meridionali, circa 2,3 milioni di persone. La povertà ha il volto dei bambini. A Sud il 13,2% delle famiglie in cui è presente almeno un figlio minore sono povere, contro l’11,5% della media nazionale.

UNA PARTE di questa povertà è generata dal «lavoro povero» che non produce redditi dignitosi e non permette di superare almeno le condizioni di necessità. Ciò è dovuto all’«eccessiva flessibilità del mercato del lavoro», osserva la Svimez. Sono 920mila lavoratori che hanno un lavoro a «tempo determinato». Dopo lo sblocco dei primi licenziamenti da fine giugno, ci sono stati circa 10 mila licenziati o per scadenza di contratto. Il 46% era concentrato nelle regioni meridionali.

LA POVERTÀ è il prodotto del definanziamento dei servizi pubblici. A cominciare dal trasporto urbano. Nelle città metropolitane del Sud la quota di persone che usa abitualmente il trasposto pubblico locale non raggiunge il 10%, è quasi al 19% in quelle del Centro-Nord. La rete ferroviaria locale elettrificata è al Sud appena il 22,3%, contro il 52,6% del Nord e il 98,2% del Centro. Dicono che gli interventi per l’alta velocità previsti dal Pnrr consentirà al Mezzogiorno di ridurre di un quarto il tempo di percorrenza medio. Il problema è che non si concentrano sulla soluzione della mobilità nelle città e nelle zone prossime dove vivono le persone. Questa impostazione non aiuterà a risolvere i problemi descritti anche dalla Svimez.

POVERTÀ è il prodotto della bassa spesa pro capite per le cure sanitarie nel pubblico. A Sud è storicamente più bassa. Negli anni dell’austerità permanente la riduzione dell’assistenza ospedaliera per massimizzare i risparmi immediati non è andata di pari passo con il rafforzamento dei servizi alternativi all’ospedale, in particolare la medicina territoriale. Il tasso di assistenza domiciliare integrata, calcolato su 10 mila abitanti ultrasessantacinquenni, è pari a oltre 715 al Nord e a più di 636 al Centro mentre cala a 487 nel Mezzogiorno. Il problema, ha sostenuto l’Ufficio parlamentare di bilancio in un’audizione sulla legge di bilancio, non è stato affatto risolto. Lla spesa sanitaria del 2022 sarà in termini assoluti inferiore a quelli prepandemia nel 2019. E nemmeno inprospettiva il Pnrr non destina cifre da capogiro al settore più strategico nel tempo delle epidemie globali.

POVERTÀ è anche il risultato della disoccupazione e della precarietà delle donne. nel Mezzogiorno, quasi 900mila non cercano lavoro né istruzione, con valori intorno al 40% rispetto al 17% nella media europea. Il tasso di occupazione delle 20-34enni laureate da 1 a 3 anni è appena il 44% nel Mezzogiorno a fronte di valori superiori al 70% nel Centro-Nord.