L’anno scorso ancora 1.032 persone sono state messe a morte in 23 paesi nel mondo ma concentrate in Cina, Iran, Arabia Saudita, Iran e Pakistan. La denuncia arriva da Amnesty International nel rapporto pubblicato ieri. La Cina rimane il maggior «boia» al mondo, ma i dati, classificati come segreto di Stato, sono poco attendibili. Centinaia di casi documentati di pena di morte, in Cina non sono presenti nel registro giudiziario online. Amnesty ha potuto accertare da fonti pubbliche cinesi che tra il 2014 e il 2016 sono state eseguite almeno 931 condanne a morte, solo 85 delle quali riportate nel registro. Il registro, inoltre, non contiene i nomi dei cittadini stranieri condannati a morte per reati di droga, sebbene i mezzi d’informazione locali abbiano dato notizia di almeno 11 esecuzioni del genere. Assenti anche numerosi casi di «terrorismo».

Nel 2015, Amnesty International aveva registrato 1.634 esecuzioni in 25 paesi, un picco storico i dal 1989. Quindi le condanne a morte eseguite sono diminuite di circa il 37% rispetto all’anno record. Escludendo la Cina, l’87% di tutte le condanne a morte sono state eseguite soli in 4 paesi, il secondo paese più «sanguinario» al mondo resta l’Iran con 567 esecuzioni, seguito dall’Arabia Saudita (154), dall’Iraq (88) e dal Pakistan (87).

Per la prima volta dal 2006, gli Usa non sono tra i primi cinque esecutori al mondo, indietreggiando al settimo posto, dietro l’Egitto, con «solo» 20 persone messe a morte, il numero più basso dal 1991.