Terminate le vacanze estive con relativi cliché di foto dalle spiagge, la Sicilia torna a essere la regione più a sud d’Italia, con le sue idiosincrasie e le speranze. L’immaginario allora è consegnato a chi questa terra sa ammirarla e criticarla, agli artisti che restano per raccontarla. È il caso di Picciotto e del suo album in uscita a fine settembre, StoryBorderline (Mandibola/Irma Records), un disco rap di denuncia in capitoli, con ognuna delle 16 tracce che racconta la vita di un personaggio. Un libro in musica affiancato dalle fotografie di uno degli artisti palermitani più promettenti secondo il Guardian, Francesco Faraci, che ha avuto il compito di illustrare il booklet.

StoryBordeline è un concept album focalizzato su quelli che, con superficialità, spesso vengono definiti emarginati. Dietro c’è il lavoro di Picciotto nei quartieri popolari di Palermo: «Il disco – spiega il rapper – nasce e cresce in quei contesti. L’emarginazione è raccontata attraverso storie individuali ma in realtà è una condizione collettiva che meglio definirei ’precarietà esistenziale’. Credo che la si possa ritrovare in ogni angolo del mondo, nei quartieri popolari semplicemente ti sbatte in faccia con i suoi personaggi terribilmente reali. Chi come me fa l’operatore sociale, sa di doversi ben corazzare per non sconfinare nell’onnipotenza del sentirsi ’soluzione’ ai disagi altrui. Perché, inevitabilmente, il buio di tante storie te lo porti a casa. Attraverso il rap ho provato a raccontare anche la luce di queste vicende, apparentemente tristi ma con un’enorme fame di vita e di riscatto».

Francesco scatta in bianco e nero ritratti di gitani, bambini in strada, uomini tatuati con facce da duro come in un resoconto pasoliniano: «Palermo è magmatica, tentacolare – sottolinea Faraci, addentrandosi nei vicoli o fra i casermoni delle periferie ci si rende conto che scoppia di energia ma che, allo stesso tempo, una parte è come se non esistesse. Si vive un profonda frattura come fossero due città diverse. Con la fotografia non ho mai cercato il degrado o la delinquenza, ma di far emergere quanta più bellezza e poesia per ricucire quella frattura suscitando dubbi, facendo capire che certe situazioni non si possono ignorare».

Molti dei soggetti vengono ritratti nelle loro case: «La fotografia è una relazione umana, è necessario guadagnarsi la fiducia, creare empatia e vivere quei luoghi. È un lavoro lungo e non una ricetta, infatti in alcuni casi resta la diffidenza ma quando accade sembra un misterioso scambio». Picciotto cita Mumia Abu-Jamal e il rap sembra una strada di liberazione, il rapper impegnato però raramente ha spazio nel mainstream, a differenza di quello legato all’immagine. Qui c’è anche contenuto e un aspetto pedagogico: «La divisione tra categorie di rapper esiste ed è atavica. Sono contento che oggi il mainstream strizzi l’occhio al genere ’massificandolo’ seppur con inclinazioni che purtroppo poco hanno a che fare con le radici del rap.

Nelle scuole faccio laboratori di scrittura creativa e vedo che i ragazzi conoscono molti più rapper di me, cominciano prestissimo a giocare col flow e diventa più facile accompagnarli in un percorso di approfondimento sui contenuti della ’vecchia scuola’. Moltissimi trovano una nuova valvola di sfogo che può trasformargli la vita ed è in questo che l’arte diventa rivoluzionaria. C’è anche chi cavalca questo fenomeno producendo brutte copie a discapito di chi meriterebbe più attenzione. Per questo oltre alla web series su StoryBorderline (in uscita nei prossimi mesi, ndr) ci sto scrivendo un libro, per cercare di introdurre il pubblico a più forme artistiche».

Le vicende cantate da Picciotto possono essere accadute a Milano come a Torino, solo che i cliché su Palermo sembrano indelebili: «Sono innamorato della mia città. Nel disco ho preferito non localizzare gli argomenti in quanto il senso di rivalsa di ogni personaggio, così come le morti sul lavoro o l’amore puro, sono dappertutto. Palermo è diversa dal resto d’Italia, è tutto più esasperato nel bene e nel male. Sono ancora tanti i giovani che sono costretti a emigrare ma nell’ultimo periodo riscontro un flusso di ritorno, magari perché non si è trovata la strada giusta e a Palermo anche ’arrangiandosi’ si vive meglio rispetto ad altri luoghi».

Per finanziare il disco Picciotto ha utilizzato il crowdfunding. La geografia per un artista conta ancora, eppure nell’ultimo anno il rapper ha fatto più di cinquanta date: «A 32 anni e con due figlie sono quasi arrivato alla pacificazione tra me e la mia città nonostante pensi a come si potrebbe stare a Roma o a Milano per chi desidera vivere di musica. La geografia ci penalizza, con la mia band (Gente Strana Posse, ndr) è diventato sempre più difficile suonare fuori dall’isola per un mero problema di spese, e in città manca la volontà politica per eventi musicali che potrebbero creare occupazione. Tuttavia qui raccolgo il meglio e il peggio delle mie storie e quando ho l’opportunità di portarle in giro la soddisfazione è doppia, così come per il senso di resistenza».