C’è già chi parla di fine di un’era, quella del leader socialista Edi Rama, saldamente al potere dal 2013 in Albania. Nel voto di oggi per il rinnovo del Parlamento il premier che aveva promesso una rivoluzione “colorata” per cambiare il volto del Paese e portarlo in Europa, è in cerca di un difficile terzo mandato.

A sfidarlo, l’Alleanza per il cambiamento, guidata dal partito democratico (Pd), di centro-destra, dell’ex sindaco di Tirana, Lulzim Basha, pupillo dell’immarcescibile Sali Berisha, e il Movimento socialista per l’integrazione (Lsi) di Monika Kryemadhi, moglie del presidente della Repubblica Ilir Meta, che con il Pd ha firmato un accordo pre-elettorale con l’impegno a collaborare dopo le elezioni.

I SONDAGGI RESTITUISCONO l’immagine di un Paese spaccato in due: i socialisti di Rama, dati al 44%, sarebbero in vantaggio sul blocco delle opposizioni, con il Pd che segue al 40% e l’Lsi, fermo al 6%. Mai come questa volta però i giochi sono aperti, soprattutto se si tiene in considerazione l’ondata di cambiamenti che ha toccato la regione dei Balcani e che ha prodotto un ricambio, seppur controverso per certi versi, in tutti i paesi in cui si è votato dal Kosovo, al Montenegro, alla Bulgaria, alla Bosnia, con la sola eccezione della Serbia.

E l’onda rischia di travolgere anche Rama, peraltro insidiato dal premier kosovaro, Albin Kurti, che si è recato più volte in Albania per sostenere i tre candidati del partito gemello albanese, Vetevendosje, tra le poche novità di questa tornata elettorale, insieme al sindacalista Elton Debreshi, simbolo della lotta al fianco dei minatori di Bulqiza.

 

Edi rama in campagna elettorale (Ap)

 

La campagna elettorale si è svolta in un clima di tensione crescente, culminata nell’ultima settimana in due sparatorie. La prima a Kavaja, dove è stato gambizzato un segretario locale del Pd, la seconda a Elbasan, avvenuta nel pomeriggio di mercoledì scorso, provocando la morte di un attivista del Partito socialista, Pjerin Xhuvani, e il ferimento di quattro persone. Sempre Elbasan era stata teatro di scontri tra militanti socialisti e democratici un mese fa, quando Rama e Basha si erano ritrovati faccia a faccia nella cittadina in occasione dei festeggiamenti della giornata dell’Estate.

GLI APPELLI ALLA CALMA di Ue e Usa sono caduti nel vuoto. I due principali partiti, aizzati da Meta, hanno continuato in uno scambio di accuse incrociato che rivela il nervosismo strisciante tra i contendenti. In ballo più che le sorti del Paese, sembra vi sia la carriera politica tanto di Rama quanto di Basha. La sconfitta dell’uno o dell’altro sarebbe una condanna all’irrilevanza sia per il premier, che non si è dimostrato all’altezza della promessa di cambiamento per cui era stato eletto, sia per il leader d’opposizione, incapace di avviare all’interno del proprio partito un processo di rinnovamento che avrebbe reso la sua candidatura un’alternativa realmente credibile.
In questo contesto, l’Albania, sfibrata dalla crisi economica e da una corruzione endemica, scivola in secondo piano. Le campagne elettorali dei partiti di maggioranza e opposizione sono state impostate sulla delegittimazione dell’avversario più che su un programma di riforme di cui il Paese ha urgente bisogno.

COLPITA DAL TERREMOTO nel 2019, l’Albania è stata ulteriormente piegata dalla pandemia che ha avuto l’effetto di esacerbare i problemi che il Paese si porta dietro da anni, non ultime le iniquità che hanno caratterizzato lo sviluppo economico dell’Albania e che sempre più spingono i giovani a cercare altrove un futuro migliore.
Che ci fosse un profondo malcontento nella società era risultato evidente lo scorso novembre quando migliaia di ragazzi soprattutto delle periferie dopo l’uccisione di un ragazzo per mano di un poliziotto hanno messo a ferro e fuoco Tirana e altre città. Un omicidio divenuto il simbolo di un abuso di potere esercitato a tutti i livelli dello Stato.

ALTRO ESEMPIO ECLATANTE è stato l’abbattimento del Teatro nazionale di Tirana in sfregio delle più basilari regole democratiche, nonché del patrimonio culturale albanese, schiacciato agli interessi degli oligarchi, i veri padroni del Paese.
L’Albania quindi è sì ad un bivio, ma il vero banco di prova sarà negli anni a venire quando si capirà se la classe dirigente avrà davvero l’intenzione di traghettare il Paese fuori dal pantano in cui è immersa da tempo.