«Nel mio mondo amore e matrimonio coincidono: l’amore si esprime sposandosi» dice Rama Burshtein, regista israelo-americana di Un appuntamento per la sposa – commedia presentata nella selezione di Orizzonti del Festival di Venezia e da domani in sala. Il mondo della regista, così come della sua protagonista Michal (Noa Koler), è infatti quello della comunità chassidica ortodossa di Israele, lo stesso universo in cui Rama Burshtein aveva ambientato il suo film d’esordio La sposa promessa, anch’esso presentato a Venezia.

Michal ha circa trent’anni, e neanche un mese prima del suo matrimonio viene lasciata dal fidanzato. Decide però che in nessun modo intende rinunciare allo sposalizio: lei si presenterà all’«altare» il giorno prefissato, e Dio la aiuterà a trovare un compagno che in quel giorno convoli a nozze con lei. Per Michal, e per la regista, è un «atto di fede», o meglio «un salto nel vuoto sostenuto dalla fede». È invece una «sfida a Dio» per il rabbino che cerca di dissuadere la protagonista – «interpretato da mio marito» ci tiene a dire Burshtein, il cui matrimonio è stato anch’esso un atto di fede: «Quando mi sono sposata il mio futuro marito mi piaceva molto, ma non lo conoscevo».

«Il punto di vista del rabbino è condivisibile, giusto – aggiunge Burshtein – ma il gesto folle di Michal è l’unica strada per trovare quello che cerca».
Come nella Sposa promessa, al centro di tutto c’è dunque il matrimonio, ma un movimento opposto delle protagoniste rispetto a esso: mentre la giovanissima Shira del primo film di Burshtein cercava di sottrarsi alle nozze con uno sposo di cui non era innamorata, Michal è alla disperata ricerca di un uomo che si presenti all’appuntamento matrimoniale. L’assurdità del suo intento getta così le basi della commedia, di questa wedding comedy senza lo sposo e con tanti tragicomici aspiranti al ruolo che vengono scartati.

«Il riferimento principale è senz’altro la commedia sentimentale – dice Burshein – ma poi i generi si mischiano: c’è anche suspense, momenti drammatici e una serie di elementi che non appartengono alla commedia – un genere che amo molto – ma che piuttosto fanno parte della vita. Il mio film infatti è ispirato a uno show televisivo australiano, Offspring: rispetto agli americani gli australiani non seguono le regole di genere in modo rigoroso».

Burshtein, nata a New York da una famiglia non strettamente religiosa e solo più tardi convertitasi allo chassidismo, si definisce una «donna tra due mondi». «Ma in realtà – aggiunge – sono solo due aspetti dello stesso mondo», e dunque non è difficile «metterli in comunicazione», nel suo caso attraverso il cinema. La particolarità di entrambi i suoi film è infatti di essere raccontati attraverso uno sguardo che non si limita a osservare questo mondo altro, né tantomeno a giudicarlo: piuttosto offre una prospettiva dall’interno, che condivide quelle regole di natura spirituale che strutturano la storia e la dimensione in cui è ambientata.

Il muro del titolo originale – letteralmente Passare attraverso il muro – è quello che impedisce alle persone di realizzare i loro desideri: «Michal nel film si chiede se la sua scelta sia folle o l’unica via per aprire una porta, per varcare una soglia. Penso che nella vita di ogni credente, e non solo, ci sia stato un atto di fede del genere, che dall’esterno può sembrare pura follia. Il film oscilla tra le due possibilità, e soprattutto mette in scena la guerra costante tra disperazione e speranza, una delle cose di cui abbiamo più bisogno».
Un appuntamento per la sposa assume così la forma di una parabola incerta, il cui messaggio deve essere decifrato, come lo stesso finale del film, in base a ciò in cui si decide di credere. Ma rispetto alla struggente lotta interiore della protagonista di La sposa promessa, l’impresa donchisciottesca di Michal è molto più esile ed esteriore.