Nella giornata di ieri, 161 persone sono morte di Covid-19 portando il totale dall’inizio dell’anno a 32330. I casi positivi sono 665 in più del giorno prima, quando erano stati 813. I tamponi effettuati sono oltre 67 mila. Il 73% dei nuovi casi positivi si trova in Lombardia, Piemonte e Liguria, regioni in cui la percentuale dei tamponi positivi è superiore al 2% contro una media nazionale dell’1%.

Anche senza alcun particolare aumento dei casi, il capo della Polizia Franco Gabrielli è deciso a non allentare i controlli. In una circolare ha invitato i questori di tutte le province a assicurare «il rispetto del divieto di assembramenti e di aggregazioni di persone e l’osservanza delle misure del distanziamento sociale» durante le ordinarie attività di controllo del territorio. Il timore è che la riapertura sia stata imprudente, con i servizi di prevenzione ancora indietro con i tamponi e il tracciamento dei contatti.

Ad alimentare ulteriore caos sui test ci si è messo anche il governatore del Lazio Nicola Zingaretti che ha chiesto al governo di «rendere gratuiti i test sierologici, inserendoli nei Livelli Essenziali di Assistenza». La mossa punta a fermare le speculazioni dei laboratori privati, dove un test arriva a 70 euro. Ma gli esperti hanno spiegato ripetutamente che i test sierologici hanno valore statistico e non diagnostico. Per sapere se sono malate, le persone positive al test sierologico devono sottoporsi obbligatoriamente anche al tampone. Favorire la corsa al test sierologico finirebbe per ingolfare anche le autorità sanitarie in affanno con i tamponi.

Dai quasi cento vaccini in via di sperimentazione iniziano ad arrivare i primi, provvisori risultati. Quello sviluppato dall’università di Oxford con la collaborazione dell’azienda Irbm di Pomezia è stato sperimentato sui macachi. Il vaccino è basato sull’Rna, una molecola simile al Dna capace di indurre le cellule a produrre le stesse proteine che si trovano sull’involucro esterno del coronavirus.

Il sistema immunitario, secondo i ricercatori, può imparare a riconoscere la proteina e neutralizzarla, impedendo così anche al coronavirus di penetrare nelle cellule. Con questa speranza, 28 giorni dopo la somministrazione del vaccino i macachi sono stati contagiati con il sars-cov-2. Purtroppo, raccontano i ricercatori in uno studio pubblicato online senza revisione da parte di una rivista, quelli vaccinati sono risultati positivi con livelli virali simili a quelli degli esemplari non vaccinati.

Ciò suggerisce che il vaccino non protegga granché contro l’infezione. Gli animali vaccinati però non hanno sviluppato la polmonite, che è la principale causa di aggravamento della malattia. «Se un risultato simile fosse confermato nell’essere umano, è probabile che il vaccino fornisca una protezione parziale contro la malattia, ma difficilmente riduca il contagio», ha commentato Eleanor Riley, immunologa all’università di Edinburgo.

Sembrano più incoraggianti i risultati di un altro vaccino, stavolta sperimentato all’università di Harvard (Usa) in collaborazione con la casa farmaceutica Janssen. In questo caso, il vaccino è basato sul Dna, ma il meccanismo è simile a quello di Oxford. Dopo essere stati infettati, i macachi vaccinati a Harvard hanno mostrato una carica virale più bassa rispetto a quelli non vaccinati.

Nella ricerca pubblicata sulla rivista Science i ricercatori spiegano di non aver verificato l’efficacia del vaccino nel caso di mutazioni del virus né la durata degli anticorpi. E ovviamente non è detto che nell’essere umano il sistema immunitario reagisca nello stesso modo. Dunque, sono necessarie ulteriori conferme dei risultati.

Sulla stesso numero della rivista, il gruppo di ricerca ha pubblicato un secondo studio sull’immunità acquisita dopo la guarigione. Secondo i ricercatori, 9 macachi guariti da un precedente contagio di sars-cov-2 sono risultati immuni contro una nuova infezione. Tra la guarigione e la nuova infezione, però, sono trascorsi solo 35 giorni. «Sono necessarie altre ricerche per determinare la durata dell’immunità osservata in questi casi», sostengono gli autori della ricerca. Se l’immunità svanisse con il tempo, diventerebbe complicato anche sviluppare un vaccino.