«Dialogo e lealtà istituzionale, ma all’interno della legalità». Questa è la modesta offerta fatta ieri dal premier conservatore Mariano Rajoy al nascituro governo catalano, all’indomani delle elezioni che dovevano segnare il cammino indipendentista della Catalogna e invece hanno ratificato l’impasse precedente al voto. Nonostante le aspirazioni indipendentiste di metà dei catalani – com’è emerso dalle urne – l’idea di una Catologna fuori dalla Spagna continua ad infrangersi contro il muro impenetrabile del governo centrale che a parole si dice disposto a dialogare, ma di fatto si trincera dietro la costituzione: «Il governo – ha detto Rajoy – non permetterà che venga messa in discussione l’unità della Spagna e la sovranità nazionale». Nemmeno un passo indietro, dunque, rispetto al discorso preelettorale e, soprattutto, nemmeno una proposta concreta da mettere sul tavolo di un’eventuale (e necessaria) trattativa.

Anzi, la tendenza, con inevitabili e nefaste, conseguenza politiche, è piuttosto quella di distogliere lo sguardo: «i partiti maggioritari non hanno l’appoggio della società catalana», ha proseguito Rajoy, duramente criticato anche da Aznar: «si è concretizzato il peggior scenario possibile», ha dichiarato l’ex presidente del governo. Madrid, d’altra parta, ha tutti gli strumenti per stroncare sul nascere ogni sussulto indipendentista e sembrerebbe essere disposta ad usarli. Alcuni persino fabbricati ad hoc: basti citare la contestatissima riforma che permetterà al Tribunale Costituzionale di destituire senza sottoporre la decisione al parlamento, qualsiasi carica pubblica che non esegua le disposizioni del governo centrale; oppure la discussa legge di Seguridad nacional che dà al presidente del governo la facoltà di intervenire su questioni di stretta competenza regionale.

Sul lato indipendentista il panorama e più frastagliato, ma in alcuni casi si replica con segno inverso l’atteggiamento del governo centrale, anche in questo caso a scapito dei già stretti margini di dialogo: Convergencia e Erc (due partiti della vincente coalizione Junts pel sí), premono sull’acceleratore dell’indipendenza unilaterale. Qualcuno, invece, invoca più ragionevolmente il referendum, come il capolista di Junts pel sí Raül Romeva: un’opzione impossibile con Rajoy alla Moncloa, ma a dicembre ci saranno le elezioni generali, e qualcosa potrebbe cambiare.

«Se vinciamo le politiche – ha dichiarato il leader di Podemos Pablo Iglesias – chiederemo una consultazione e faremo campagna a favore del no. Vogliamo creare un progetto di Spagna in cui ci sia spazio anche per la Catalogna, perché il nostro è uno stato plurinazionale». Iglesias, che ha ribadito la neutralità di Podemos e ha criticato duramente sia l’immobilismo di Madrid che l’unilateralismo indipendentista, definendo irresponsabili le formazioni che hanno incentrato la campagna sul nazionalismo. «La questione catalana richiede responsabilità e senso dello stato, e il presidente del governo ha dimostrato di non essere all’altezza delle circostanze» – ha dichiarato Iglesias, che ha dovuto fare i conti con un risultato abbastanza deludente: solo 11 seggi che però avrebbero un peso importante in un’eventuale coalizione di forze progressiste, a cui Iglesias – seguito dal segretario del partito socialista Pedro Sánchez – ha fatto appello per scongiurare un governo di Junts pel sí: «In Catalogna c’è una maggioranza progressista plurale che comprende la Cup, Erc, e i socialisti e con queste forze si potrebbe trovare un’intesa», ha dichiarato Iglesias, esposto dallo scivolone elettorale a insidiose raffiche di fuoco amico.

Alberto Garzón, il leader di Izuierda unida, uno dei partiti della lista di coalizione guidata da Podemos (Catalunya sí que es Pot) , ha criticato la monopolizzazione della campagna da parte del partito viola, mentre l’ex dirigente di Podemos Juan Carlos Monedero, ha polemizzato con la linea politica: «La zuppa di sigle non funziona. Quest’idea di centralità non ben definita non dà più risultati: Podemos dovrebbe dare più ascolto alla base». Su scala europea i primi commenti vengono dalla Germania, che ha ciò che Angela Merkel disse già prima del voto «si rispetti sia la legislazione spagnola, sia quella europea» ha commentato il portavoce del governo tedesco. Sembra di sentir parlare Rajoy.