In queste ore le truppe del generale Haftar si stanno giocando il tutto per tutto nella battaglia di Tripoli, cioè la possibilità di dare corso a quell’«ora zero» dell’offensiva iniziata il 4 aprile che già una decina di giorni fa era stata annunciata in pompa magna ma che alla fine si è risolta in uno sforzo senza esito. Se non riuscirà a conquistare adesso il cuore della capitale libica, l’intero scenario libico sarà probabilmente destinato ad attestarsi su una guerra civile prolungata in un tempo indefinito.

Questa volta Haftar ha evitato per prudenza i toni roboanti. Il portavoce del suo Esercito nazionale libico (Lna), Ahmed Mismari, ha semplicemente annunciato, tramite il quotidano saudita con sede a Londra Asharq al Awsat, che l’esercito della cirenaica è riuscito ad interrompere la linea di collegamento tra Tripoli e la città-Stato di Misurata, alla quale si deve finora la resistenza armata della capitale. In effetti per la prima volta in oltre cento giorni di combattimenti e raid aerei, tra venerdì e sabato la città di Misurata è finita sotto le bombe, inclusa la sua prestigiosa e finora inespugnabile Accademia di aeronautica militare.

NEI RAID DI SABATO dell’Lna è stato colpito anche un ospedale da campo delle forze armate fedeli al governo Serraj, vicino Zawiya, lungo la strada che conduce al vecchio aereoporto usato ora come avamposto militare dalle milizie di Tripoli, e nel bombardamento sono rimasti uccisi 5 medici, mentre altri otto infermieri e soccorritori sono rimasti feriti. Colpita anche la scuola El Alamain dove fine al 17 luglio circa 600 alunni e alunne si alternavano su due turni nelle uniche tre aule ancora non danneggiate.

AL PALAZZO DI VETRO IERI il Consiglio di sicurezza ha ascoltato il briefing dell’inviato speciale Ghassam Salamé che, dopo aver brevemente incontrato il premier Fayez Serraj a Tunisi, a margine dei funerali del presidente tunisino Mohamed Beji Caid Essebsi, è volato a Bengasi, nella base di Rajma, per un faccia a faccia con Haftar. Il rappresentante dell’Onu in Libia, oltre a fornire ragguagli sugli sviluppi della situazione sul campo, ha detto al Consiglio di sicurezza che tenterà di ottenere una tregua per la festa del sacrificio, l’Eid al Adha che si svolge, a quaranta giorni dalla fine del Ramadan, il prossimo 12 agosto. Una finestra di pace nella quale, oltre a uno scambio di prigionieri di guerra, le potenze «influenti in Libia» possano tentare di riannodare le fila di un negoziato tra le due parti in conflitto, così come dicono di volere dalla Francia alla Russia all’Arabia saudita, all’Italia, agli Stati Uniti, meno o per niente l’Egitto da una parte (per Haftar) e la Turchia di Erdogan schierata a difesa di Serraj.

GLI EMIRATI, altra potenza che gioca nella partita un ruolo di primo piano, resta in silenzio ma non è meno interessata alla vittoria. Non solo come fornitrice di armi, ma per i legami economici e politici che ha intessuto in Libia negli ultimi anni. Gli sceicchi di Abu Dhabi erano, nell’ultimo periodo dell’era Gheddafi, il primo partner commerciale della Libia e dopo il voltafaccia hanno stretto rapporti in particolare con alcuni capi di potenti milizie di Tripoli come Haitham Tajouri – della milizia Abu Salim ora inquadrata tra i pretoriani di Serraj nella Rada- o come Hashim Bishir, detto «il padrino», che adesso ha il suo ufficio nella stanza a fianco a quella del premier a Tripoli. Proprio la vicinanza di Serraj a questi due capi delle milizie – secondo alcuni media libici – sarebbe stata all’origine della fuga a Tunisi, due anni fa, dell’ex ministro degl esteri libico Mohammed Siala che aveva denunciato l’accaparramento dei fondi statali da parte delle milizie dedite a loschi traffici a Tripoli.

SECONDO GLI STESSI MEDIA in queste ore questi due capi sarebbero assenti dal fronte dei combattimenti e forse in procinto di cercare un accordo con Haftar tramite negoziatori. E il sito emiratino Erm news – citato dall’Agenzia Nova – sostiene inoltre che una delegazione tribale della città di Misurata si sia messa in queste ore in contatto con emissari di Haftar perché risparmi altri bombardamenti alla città soprattutto su abitazioni e infrastrutture civili. Tutte indiscrezioni che potrebbero rivelarsi solo parte della guerra in atto. È stato lo stesso inviato Salamé a ricordare ieri all’Onu che «anche tramite i media potenze estere alimentano il conflitto».