Il senato approva definitivamente ma sbrigativamente, per alzata di mano, la «riforma» della Rai, e il sottosegretario Antonio Giacomelli dichiara serio: l’azienda di servizio pubblico «diventa più moderna, efficiente e trasparente». A sera, tornato a Roma da Beirut, anche Renzi si ricorda della sua riforma annunciata in pompa magna ma alla quale durante gli ultimi passaggi parlamentari non aveva dedicato nemmeno due parole: «Stabilità, collegato ambientale e Rai tutto in un giorno: tre partite che sembravano impossibili portate a casa nel giro di qualche ora».

Ma il risultato della partita è ben diverso da quello che il premier aveva garantito, come spiegano anche i sindacati dei giornalisti Usigrai e Fnsi: Renzi «aveva promesso di togliere la Rai ai partiti e restituirla ai cittadini. E invece l’ha messa alle dirette dipendenze del governo. Con un doppio colpo, palazzo Chigi ha portato sotto il proprio diretto controllo i due pilastri dell’autonomia e dell’indipendenza dei servizi pubblici: fonti di nomina e finanziamenti». Perché da oggi la tv pubblica sarà guidata da un amministratore delegato con poteri inediti (grazie a una norma transitoria l’attuale direttore generale, il renzianissimo Antonio Campo Dall’Orto, li otterrà tra poco, sommandoli a quelli che già ha) scelto direttamente dal governo. E con la legge di stabilità «il governo si prende il controllo anno per anno dei finanziamenti», appunto, «uno degli strumenti più forti per condizionare la gestione e le scelte editoriali».

Lo slogan «fuori i partiti dalla Rai» diventa dunque «dentro il governo» con maggiore presa. L’amministratore delegato, scelto dal ministero dell’economia, avrà il potere di scegliere i direttori di reti e canali senza che il cda (solo il prossimo, che sarà nominato nel 2018, sarà composto da 7 membri e non più 9, e guidato da un «presidente di garanzia» Gasparri style), possa bocciare le sue proposte. I consiglieri potranno solo esprimere un parere. Mentre potranno bocciare le proposte del dg sui direttori delle testate, ma solo con una maggioranza dei due terzi. Insomma, poiché i nuovi consiglieri saranno indicati due dalla camera, due dal senato e due dal governo (il settimo sarà il rappresentante dei dipendenti) in futuro si dovrebbe di fatto verificare uno scontro tra maggioranza versione Italicum e governo. Lo stesso per l’eventuale sfiducia del dg (la cui nomina è ratificata dal cda), prevista dalla nuova legge. Il dg avrà mano libera anche sui contratti fino a 10 milioni, potrà assumere e promuovere dirigenti non di prima fascia e i giornalisti di ogni grado, su proposta dei direttori, decidendone la collocazione.

La commissione parlamentare di vigilanza mantiene le «funzioni di indirizzo generale». Mentre il contratto di servizio tra Rai e ministero dello sviluppo economico avrà la durata di 5 anni (non più 3) e dovrà avere il via libera preventivo del consiglio dei ministri.
A questo punto, ottenuti i nuovi poteri dopo la riscrittura dello statuto, il dg-amministratore delegato dovrebbe anche procedere alle nomine. Dal cda, Carlo Freccero osserva: «Campo dall’Orto da oggi ha un’opportunità splendida, che speriamo non venga sprecata. Se declinerà i suoi poteri e la sua libertà d’azione secondo il main stream televisivo sarà una cosa fantastica, se li declinerà secondo il main stream politico sarà un disastro».