Quattro tribune elettorali a fine marzo su Raidue, alle 9.30 del mattino. Altre quattro (la prima il 5 aprile, l’ultima il 14) su Raitre, alle 15.10. E una sola tribuna su Raiuno, giovedì 14 aprile alle 14.05. Tre giorni dopo, domenica 17 aprile, si voterà per il referendum sulle trivellazioni. L’informazione che la televisione pubblica intende dare è tutta qui. Altro che spazi «nelle fasce orarie di maggiore ascolto, preferibilmente prima o dopo i principali notiziari» come previsto nella delibera della commissione di Vigilanza. Per i messaggi autogestiti bisognerà aspettare la seconda parte della campagna elettorale, che è ufficialmente cominciata da due settimane, anche se nessuno se n’è accorto. Tra un mese si vota e i parlamentari Liuzzi e Airola del Movimento 5 Stelle ieri hanno protestato con la Rai per la decisione di collocare le tribune nelle fasce «di minimo ascolto». Ma non sarà certo con le tribune che si informerà il grande pubblico, così i 5 stelle hanno chiesto al direttore editoriale di viale Mazzini Carlo Verdelli di fare in modo che «il servizio pubblico assicuri spazio di approfondimento e dibattito con speciali e inchieste».
L’Agcom ha approvato solo il 7 marzo la delibera con la quale ha stabilito le regole della campagna referendaria per le televisioni private, oggi scade il termine per i partiti e le associazioni che vogliono fare campagna (per il Sì, ma ce ne sono anche un paio per il No). Sinistra italiana ha annunciato che domenica prossima sarà in cento piazze con una campagna dallo slogan semplice – «Si vota sì» -, ieri sono stati presentati i manifesti. «La Rai non sta facendo informazione secondo le regole», ha detto il coordinatore di Sel Nicola Fratoianni. Ma sempre ieri è esplosa la polemica per una pessima campagna firmata online dell’agenzia «Bhesaped» che qualche giorno fa ha utilizzato l’hashtag #trivellatuasorella accoppiandolo a un’immagine allusivamente violenta e sessista. Venendo dal campo del «Sì», l’iniziativa si è velocemente rivelata un clamoroso autogol; il comitato No triv ha condannato.
Un’altra polemica riguarda invece gli amministratori locali, che il ministero dell’interno ha messo sull’avviso: non devono partecipare alla campagna elettorale. La prescrizione è contenuta in una circolare del Viminale che risale a fine febbraio (quando in teoria è cominciata la campagna elettorale) e non può naturalmente estendersi ai consigli regionali che di questo referendum sono i promotori. Ma colpirebbe i sindaci, come denuncia il primo cittadino di Palermo Leoluca Orlando: «Non si può chiedere ai rappresentanti dei cittadini, eletti democraticamente, di astenersi su decisioni che chiamano in causa la difesa dell’autonomia comunale sulle scelte che ricadono nel loro territorio». L’altolà rivolto amministratori appare tanto più paradossale perché proviene da un governo che, per un altro referendum, quello costituzionale del prossimo ottobre, ha già spiegato – e dispiegato – la sua propaganda diretta per il Sì.
L’ostilità al prossimo referendum abrogativo, invece, il governo Renzi l’ha dimostrata con la scelta della data così anticipata (il 17 aprile è il primo giorno utile nella finestra di due mesi prevista dalla legge). Si punta sull’astensione e in effetti non sarò facile portare alle urne gli oltre 25 milioni e seicentomila cittadini che servirebbero a superare il quorum del 50% più uno degli aventi diritto (calcolati su liste non aggiornate e comprendenti gli italiani residenti all’estero). «L’astensionismo è in agguato, ma chiunque deve andare a votare», invitava ieri la presidente della camera Laura Boldrini.