Con il terrore dipinto sul volto il presidente dell’Eurogruppo dal nome impronunciabile ha scoperto ad Atene che il governo di Alexis Tsipras intende proseguire esattamente sulla strada che aveva annunciato prima delle elezioni. Una scoperta evidentemente sconvolgente, a giudicare dal volto ceruleo con il quale l’olandese Jeroen Dijsselbloem è uscito dal suo primo incontro con il ministro greco delle Finanze Yanis Varoufakis.

Se Dijsselbloem avesse speso un po’ di tempo a leggere il programma di Syriza non sarebbe caduto dalle nuvole. Varoufakis prima e Tsipras dopo non hanno fatto altro che ripeterglielo punto per punto. L’olandese ha chiesto lumi sul «programma di aggiustamento». Doveva finire con il 2014 ma è stato prolungato di due mesi. L’Ue deve versare un’ultima tranche di 7,1 miliardi, ma in cambio esige nuove misure di austerità. Perfino il governo precedente aveva declinato l’invito: eravano alla vigilia delle elezioni, semmai se ne poteva parlare dopo.

Varoufakis ha risposto al presidente dell’eurogruppo che non ha alcuna intenzione di accettare una nuova discesa della troika.

Anzi, con la troika non ci parla proprio, perché è un «comitato di esecutori». «C’è una differenza enorme tra gli organi istituzionali dell’Ue, come la Bce e la Commissione Europea, ma anche gli organismi internazionali, come il Fmi, con i quali abbiamo iniziato il negoziato e li consideriamo nostri partner, da una parte, e dall’altra un comitato che segue una logica antieuropea, incaricato dell’esecuzione di un programma da noi respinto, e che, per il Parlamento Europeo, è stato strutturato in maniera frettolosa». Atene intende dialogare solo con le istituzioni europee e con i governi.

Dijsselbloem ricorda i 7 miliardi in sospeso, Varoufakis gli ripete che la Grecia è già fuori dal programma di austerità «un minuto dopo la proclamazione dei risultati». In altre parole, se li vogliono versare bene, ma le nuove misure se le possono scordare. «Siamo stati eletti per cancellare la politica di austerità. Il programma della troika non vale più, ne faremo uno nuovo, insieme». L’olandese non sa che dire: «Il programma (della troika) è ancora in funzione, a fine febbraio vedremo cosa fare». Intanto però rispolvera il vecchio repertorio: «La Grecia ha ottenuto alcuni progressi. È un peccato rischiare di rendere tutto vano a causa delle elezioni. Le azioni unilaterali non sono certo un progresso». Era esattamente quello che diceva Antonis Samaras in campagna preelettorale. Ma il buon Samaras, tanto comprensivo per le ansie di Dijsselbloem e di Schaeuble, non c’è più.

Ora c’è Alexis Tsipras che lo accoglie dopo l’incontro con Varoufakis. Dal quale Dijsselbloem, scuro in volto e nervoso, è praticamente scappato, guadagnando la porta, quasi senza salutare un sorridente Varoufakis.

Ma anche con il premier non è andata bene per lui. «Il programma applicato dalla troika è fallito», gli ha detto chiaro e tondo Tsipras. «Non sono d’accordo», risponde Dijsselbloem. «Dia un’occhiata al numero dei disoccupati, dei poveri e la percentuale del debito sul Pil», ribadisce Tsipras. «Chiederete una proroga?», chiede l’olandese. «Il programma della troika è stato respinto per decisione del popolo greco». Chiuso il capitolo troika. Rimane il problema del debito. Nulla da fare, per i greci, Dijsselbloem non ne vuole proprio sentir parlare. Conferenza europea? «Ma c’è già – commenta- ed è l’Eurogruppo».

L’unica buona notizia che l’olandese porterà con sé sarà l’assicurazione del nuovo premier che non intende tornare alla politica dei deficit del passato. Anzi, il programma del governo Syriza «è incentrato sul modo di affrontare la crisi umanitaria, ma prevede anche un vasto programma di riforme al fine di restaurare l’efficacia e la credibilità dell’amministrazione pubblica, combattere l’evasione fiscale, il clientelismo e la corruzione. Su questo fronte accoglieremo volentieri le vostre idee e i vostri suggerimenti».

Tsipras non è ironico. Sa benissimo che per quattro anni la troika ha allegramente collaborato e sostenuto i corrotti e i signori delle tessere. Ma vuole offrire una via d’uscita: continueremo a lavorare insieme, ma è finita l’epoca dei diktat.