Gli occhi si levano al cielo. Non per «rivedere le stelle», come dice lo slogan dantesco del M5S ma per spiare dal maxischermo della terrazza del quartiere Marconi che ospita il comitato elettorale di Virginia Raggi.
Le prime cifre sono inequivocabili: Raggi vola, irraggiungibile. Dalla strada, qualche decina di sostenitori si mescola a un gruppo di turisti in uscita dall’hotel di fronte. Si esulta con moderazione, quasi con timidezza.
«È una vittoria che ci aspettavamo», dice con naturalezza un ragazzo sulla trentina mentre srotola una bandiera ad uso delle telecamere.

«Ricostruiamo un senso di comunità», ha detto Raggi in queste giornate di campagna elettorale in uno dei suoi slogan (invero non troppo originali). Ma i festeggiamenti algidi dicono che la tendenza millenaristica, dogmatica e un po’ settaria del Movimento 5 Stelle è stata masticata e digerita da questa città. È stata filtrata dal disincanto e dal cinismo dei romani.

Diventa altro, si trasforma investimento sarcastico, rappresenta una scelta disillusa. I romani stanno a guardare, con una specie di empatia distaccata che ha poco a che vedere con la divisione tra bene e male, tra «gente» e «casta» della prima fase del grillismo.

«Non chiamateci più grillini», dicono davanti all’albergo dell’Ostiense. Al di là della semantica, in questa serata di fine primavera l’immagine del grillino cospirazionista si appanna. I personaggi pittoreschi si fanno da parte il Movimento 5 Stelle visto dalle settimane di battaglia romana appare poroso, più nebulosa e meno blocco ferreo. Come la città che si appresta ad amministrare. Prima del clamoroso successo delle elezioni politiche del 2013, il M5S si prese Parma un’altra città con i bilanci dissestati.

Quella vittoria rappresentò un salto nell’immaginario politico e nel modo in cui venivano percepiti i pentastellati. Da voto di protesta divenne opzione amministrativa, risorsa civica sulle ceneri dei partiti. Adesso, la vittoria di Roma rappresenta un passaggio di fase ulteriore. È una vittoria che allude, lo dicono tutti al comitato di Raggi e ne parlavano i parlamentari nei comizi da settimane, al salto di qualità nazionale, che prelude alla sfida delle politiche. «Siamo pronti a governare» dice senza mezzi termini uj raggiante Di Maio ai suoi.

Il non-partito che è stato definito «macchina per ballottaggi» capace di rastrellare consensi a destra e a sinistra dell’avversario, diventa qualcosa di più grande. Lo fa bypassando la figura di Beppe Grillo, che comparirà solo all’ultimo minuto, per festeggiare nella notte in una piazza romana che lo ha atteso per giorni. Doveva essere piazza del Popolo, poi si vocifera il Campidoglio, alla fine tutti al parco Schuster, sempre all’Ostiense.
«Il clima è positivo, al di là del risultato», si limita a dire Luigi Di Maio ai giornalisti, a ridosso degli exit poll. Il M5S si prende Roma in questo modo un po’ dimesso, una rivoluzione con basso profilo che si è appoggiata al carisma dei nuovi leader.

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Ecco il significato ambivalente della squadra che da subito ha affiancato Raggi e che dai critici è stata interpretata come un «commissariamento» e dai militanti come un investimento per i prossimi appuntamenti sul piano nazionale. Raggi, e con lei il M5S tutto era costretta a vincere, sarebbe stata difficile da mandare giù una sconfitta in uno scenario politico largamente screditato, una ritirata in un campo di battaglia già dismesso e senza eserciti rilevanti.

Non ha mai drammatizzato, ha presentato il volto «moderato», che nei fatti rappresenta il sentimento di vendetta contro la vecchia politica ma nelle parole tende (un po’ paradossalmente) a rassicurare.

Nonostante le polemiche circa la firma del «contratto di fedeltà» e della eterodirezione di Raggi, poco o niente si è vista e sentita la Casaleggio Associati. I misteriosi uffici dei tessitori milanesi non hanno mandato segnali visibili, forse hanno avuto un qualche ruolo nella (ancora incerta) costruzione della giunta (a proposito, assieme ai primi risultati ci sarebbe l’ammissione dello staff che il fondamentale assessore al bilancio sarà Marcello Minenna, dirigente Consob).

Ma anche questa è una delle incognite: gli uomini un po’ azzimmati della comunicazione di Davide Casaleggio, erede di Gianroberto, difficilmente riusciranno davvero a controllare tutto quello che succede in una città e nelle stanze del potere di una capitale dove nessuno controlla veramente tutto.

Tantomeno l’astronave pentastellata atterrata questa notte in un quartiere sonnacchioso di una città in cerca di guida.