Giuseppe Conte ed Enrico Letta si incontrano e inaugurano il «cantiere» dell’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Partito democratico che dovrebbe avere il suo primo terreno di prova nelle elezioni amministrative dell’autunno prossimo. Il punto debole di questo disegno è Roma: dove mai il Pd accetterà di sostenere Virginia Raggi e dove mai la sindaca uscente accetterà di fare un passo indietro in nome degli equilibri politici nazionali. Tanto che sarebbe pronta a candidarsi anche con una propria lista, se il M5S dovesse decidere di metterla da parte.

Raggi non ha più maggioranza in Campidoglio a causa dell’ennesimo abbandono di un eletto. Sulla carta ha 24 consiglieri su un totale di 49. Per arrivare alla maggioranza, seppure risicata, dovrebbe votare lei stessa assieme al presidente dell’assemblea capitolina, quel Marcello De Vito che in seguito all’arresto e all’accusa (ancora tutta da verificare in sede processuale) di corruzione è stato sospeso dal M5S. Solo qualche giorno fa, per essere più espliciti, il capogruppo del M5S Giuliano Pacetti ha urlato a De Vito «Fai schifo!» nel corso di una seduta in cui si discuteva delle licenze ai venditori ambulanti, questione calda da anni sul fronte dell’amministrazione capitolino. La maggioranza che dovrebbe sostenere Raggi ha bisogno anche dei quattro consiglieri del Patto per Roma, che da settimane fanno squadra per chiedere un accordo col centrosinistra. Non hanno mai nominato esplicitamente la sindaca, ma è ormai evidente che ce l’abbiano con lei. Nelle ore in cui i fedelissimi di Raggi mettevano mano al pallottoliere e iniziavano a porsi il problema di sondare i fuoriusciti per capire chi sarebbe disposto a rientrare in maggioranza, i dissidenti formulavano le condizioni per continuare ad appoggiare la sindaca. «Non voteremo più atti che arriveranno in aula a pochi giorni dalla scadenza e che non riterremo legati all’attuazione del programma – dicono Enrico Stefano, Donatella Iorio, Marco Terranova e Angelo Sturni – Chiediamo che la sindaca presenzi in aula a tutte le votazioni delle delibere di giunta». I quattro sostengono che Raggi è senza maggioranza a causa di «un distacco sempre più crescente nei confronti dei consiglieri eletti dai romani che nel tempo ha determinato un isolamento della sindaca e della sua giunta, sempre più impegnati e attenti alle attività di mera campagna elettorale». Da qui la proposta: «Lavorare su temi fondamentali e strategici per il futuro della città, coinvolgendo le forze politiche dell’area progressista al fine di costituire un progetto coeso per l’amministrazione di Roma nei prossimi 10/15 anni. Questa nostra proposta non è stata presa minimamente in considerazione dalla sindaca che, a partire dalla sua autocandidatura, ha continuato ad affermare in maniera sempre più forte la sua persona». Anche per l’ultima fuoriuscita, Gemma Guerrini, il problema è Raggi: «Non supporterò nessuna forza politica che sosterrà l’attuale sindaca».

Le opposizioni, Partito democratico e Fratelli d’Italia, si chiedono se sia il caso di presentare la mozione di sfiducia. Dalle parti del Pd si valuta che una mossa del genere comporti due rischi. Il primo è che la mozione non passi, e che dunque la sindaca esca rafforzata da una situazione di difficoltà. Il secondo è legato agli equilibri nazionali. Raggi ha ricevuto l’appoggio di Beppe Grillo e, ancora ieri, di molti dei maggiorenti 5 Stelle, che l’hanno difesa dagli attacchi di Nicola Zingaretti che l’ha di nuovo definita «una minaccia per Roma». Dunque, Conte potrebbe essere costretto a schierarsi con lei. E allora sia Letta che il nuovo leader M55 potrebbero convenire che è meglio cuocere le sorti della consiliatura a fuoco lento, senza scivolare su crinali divisivi.