Il co-fondatore e garante del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo e l’ex «capo politico» Luigi Di Maio accolgono con favore il passo avanti di Virginia Raggi per un secondo mandato da sindaca di Roma. Ancora una volta Raggi si trova nel mezzo di una congiuntura astrale indipendente dalla propria volontà ma destinata a cambiare le sorti del M5S e quindi di rimando gli equilibri politici nazionali.

Nel corso degli ultimi quattro anni, spesso la sindaca è apparsa debole e poco lucida, costretta alla difesa. Tuttavia, arroccandosi in palazzo Senatorio ha asfaltato regole, gerarchie e consuetudini del grillismo. Ha proceduto di rottura in rottura. Ha sbaragliato il primo direttivo del M5S. Ha messo in crisi per la prima volta Di Maio, che era il suo sponsor nelle alte sfere dei 5 Stelle. Ha imposto le sue condizioni persino a Beppe Grillo, che ai tempi degli arresti di Raffaele Marra e Marcello De Vito auspicava un passo indietro, mettendo alla porta assessori indicati direttamente da lui (come Pinuccia Montanari, che avrebbe dovuto sbrogliare la matassa dei rifiuti). Solo che adesso Raggi gioca in attacco.

Da mesi, gli uffici del Campidoglio e i dipartimenti dell’amministrazione hanno ricevuto la chiara indicazione che nella grammatica burocratica allude al secondo mandato da sindaca: chiudere progetti, tagliare nastri, declinare ogni dossier al futuro. A costo di ricandidarsi senza il simbolo pentastellato.

I NODI POLITICI sono ancora una volta dietro le rotture. La prima, la più evidente, è quella del vincolo dei due mandati. Ci sono malumori e resistenze ma la gran parte degli eletti grillini non vede l’ora che qualcuno rompa l’ultimo pilastro identitario del grillismo e tiri fuori l’attuale gruppo dirigente dal vicolo cieco della scadenza a termine. Dalila Nesci, deputata calabrese che solo pochi mesi fa voleva candidarsi alla presidenza della sua regione: «Non si tratta, a nostro giudizio, di chiedere deroghe ad personam su Rousseau ma di riformare radicalmente questa caratteristica del M5S. Ora che siamo al governo del paese dobbiamo massimizzare ciò che abbiamo imparato. Non per questo verrà meno la nostra onestà».

Nesci ha più di un motivo per citare la piattaforma Rousseau. È una delle animatrici dell’esperienza di «Parole Guerriere», ciclo di seminari organizzati negli anni scorsi alla camera da un nucleo di parlamentari che adesso sono sfociati in documento a dir poco critico nei confronti di Casaleggio. La questione è aperta: la rivoluzione copernicana della fine del vincolo dei due mandati, dovrà davvero passare per la scatola sempre più vuota di Rousseau (come dice Raggi, dopo aver avuto l’ok dagli uffici milanesi della piattaforma) o deve essere discussa nell’ambito di una più generale riforma radicale del M5S nel corso degli ormai fantomatici Stati generali che dovrebbero tenersi in autunno (come si fa scappare Daniele Frongia, ex vicesindaco e attuale assessore allo sport)? È questa la seconda forzatura dalle conseguenze al momento imprevedibili.

DUE GIORNI PRIMA di annunciare la sua ricandidatura la giunta Raggi aveva approvato le delibere necessarie a far procedere il progetto dello stadio della Roma. Portare su un vassoio d’argento a tifosi-elettori e portatori d’interessi la grande opera di Tor di Valle era un pre-requisito considerato indispensabile dalla sindaca. Ma, ed ecco la terza rottura, quelle delibere prima o poi devono transitare dall’assemblea capitolina. E su questo tema, in un consiglio presieduto da un grillino rinviato a giudizio per corruzione e per affari proprio con Lanzalone, Raggi al momento non ha una maggioranza autonoma e ha incassato il voto contrario dei due municipi confinanti con l’area investita dal progetto. Entrambi a maggioranza M5S.

I cerchi concentrici sollevati dal sasso gettato da Raggi si allargano fino alla maggioranza di governo. L’esperimento giallo-rosso non può restare indifferente agli equilibri amministrativi della capitale. Che il Pd sia rimasto ingessato dalle alchimie di governo è dimostrato dal fatto che Goffredo Bettini pensava a Roma quando, solo pochi giorni fa, indicava a Nicola Zingaretti un rapporto più stretto col M5S. Quell’ipotesi sulla scena locale è oramai saltata. È difficile che il primo turno delle amministrative romane prossimo funzioni come primarie di coalizione. Dunque, la sfida è aperta. E Raggi muovendosi per prima è certa di aver segnato un punto. Con l’ennesima rottura.