«Chiederemo formalmente al governo di impegnare comunque i fondi che erano destinati alle Olimpiadi, perché le carenze che abbiamo nelle infrastrutture sono quotidiane e non devono accendersi solo per le Olimpiadi. Roma vivrà a dispetto delle Olimpiadi». Virginia Raggi seduta finalmente davanti ai membri della commissione Beni culturali del Senato che l’aveva convocata in audizione già a metà settembre per riferire sulla candidatura ai Giochi del 2024, è passata al contrattacco, seguendo la via indicata dal suo assessore all’Urbanistica Paolo Berdini (vedi intervista al manifesto del 22/9). «Io credo che il governo dovrà sottoscrivere un patto per Roma», così come ha fatto per Milano, afferma la sindaca.

Ma la replica del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti è un muro di ghiaccio: «Siamo pronti al Patto per Roma ma il sindaco Raggi non pensi di bluffare con noi: i soldi che sarebbero arrivati su Roma per le Olimpiadi andranno a Parigi o a Los Angeles. Aver rinunciato alle Olimpiadi toglierà perciò risorse alle periferie romane».

Se non è una porta sbattuta in faccia poco ci manca. Eppure Raggi aveva ricordato che «Roma continua a essere la Capitale d’Italia, con o senza giochi», e aveva auspicato «che nessuno voglia fare di questa mia scelta un ricatto politico ed economico dicendo “se non ti candidi ai Giochi ti tolgo pure quei soldi che ti avevo promesso”».

De Vincenti non recepisce, e scocca un attacco politico frontale alla sindaca pentastellata, proprio nel giorno in cui anche la candidatura di Salvatore Tutino viene affossata: «Il comune di Roma è il più aiutato dallo Stato italiano, grazie ai soldi per il debito, fatto dai romani e pagato dagli italiani. Se il sindaco Raggi non riesce ad averne contezza – affonda il sottosegretario – può agevolmente chiedere al suo assessore al bilancio. O a chi per lui. Quando avrà voglia di passare a Palazzo Chigi il sindaco troverà la porta aperta e le spiegheremo nel dettaglio come funziona un bilancio pubblico».

Dal Campidoglio nessuna replica. Però stavolta davanti alla commissione del Senato Raggi appare più ferrata del solito sul dossier inviato al Cio e, insieme al suo vice Daniele Frongia, ribatte punto per punto alle obiezioni olimpico. «È la città candidata, non il governo, a dover fornire al Cio garanzie finanziarie», ricorda la sindaca. E «con 13,6 miliardi di debito, che altre garanzie dobbiamo sottoscrivere?». Raggi prova ad entrare nel dettaglio del buco romano: «Il “debito corrente” si attesta tra 1,2 e 1,5 miliardi su un bilancio di 5 mld», mentre il debito globale «nel 2008 ammontava a 22 mld» e oggi, dopo la gestione commissariale e l’elisione di partite corrispondenti «si attesta tra i 13 e i 16 mld».

Al netto della corruzione, aggiunge la sindaca, «bisogna capire se le Olimpiadi siano sostenibili o meno» e «alla luce delle evidenze dei costi possiamo dire che oggi Roma non può permettersi di indebitarsi ulteriormente». «Riqualificare l’esistente», come è scritto nel dossier, poi, è solo «una dichiarazione d’intenti» perché «nessuno degli impianti sportivi comunali è a norma. Zero su 162, è un record – sottolinea Frongia – Ed era così anche prima dei Mondiali di nuoto, nonostante avessero assicurato che sarebbero stati riqualificati».

Per non parlare delle «infrastrutture per arrivare agli impianti», che il dossier olimpico non nomina neppure. Per esempio, la metro C che si vorrebbe estesa fino al villaggio olimpico, «è una struttura – spiega Raggi – che è in progettazione e in costruzione da oltre 20 anni e ancora non è finita. E noi in 8 anni dovremmo riuscire a portarla a termine con non si sa quali costi, perché non sono preventivati fino a Tor Vergata».

I soldi per riqualificare l’esistente e le periferie però la prima cittadina non li chiederà solo al governo: «Roma ha un tesoretto di oltre un miliardo di mancati incassi e sprechi che deve essere intaccato. L’amministrazione deve fare il suo: devono essere riadeguate le tariffe che in alcuni casi sono talmente basse da non consentire neanche ai concessionari la pianificazione».

Raggi è comunque ancora intenzionata a chiedere all’Aula l’autorizzazione politica per formalizzare il ritiro della candidatura, con una mozione che «sarà votata da tutti i consiglieri». La maggioranza che la appoggia, giura la pentastellata, «è un gruppo compatto». Mostra sicurezza, come al solito, Virginia Raggi: «Poi, l’amministrazione porrà in essere gli atti necessari uguali e contrari a quelli di Marino per ritirare la candidatura». Renzi è avvisato: da quel momento la nuova sfida a cinque stelle sarà il patto per Roma Capitale.