Cinque giorni dopo l’elezione della prima sindaca della Capitale, e a due dall’insediamento di Virginia Raggi (Movimento Cinque Stelle), la prima manifestazione l’hanno fatta le donne della rete «Io Decido» in lotta contro la chiusura dei centri antiviolenza a Roma. Nati per tutelare e difendere le donne colpite da abusi, violenze e maltrattamenti, tra fine giugno e fine luglio saranno chiusi perché il comune commissariato – e alcuni municipi – si sono rifiutati di rinnovare le convenzioni e di rifare i bandi di assegnazione delle strutture. Violando la delibera 26 di epoca Rutelli, i commissari hanno imposto il pagamento dei canoni di affitti a prezzo di mercato chiedendo cifre astronomiche.

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Campidoglio, la manifestazione della rete “Io Decido” per i centri-antiviolenza a Roma, foto Attilio Cristini

Risultato: un servizio essenziale sarà chiuso perché mancano le direttive attuative del decreto legislativo 50 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione e sugli appalti pubblici. Tutto questo mentre 55 donne sono state uccide da mariti, compagni, figli o conviventi solo nei primi mesi del 2016 ed è ancora in vigore la decisione dei commissari che hanno lasciato da poche ore il Campidoglio di sgomberare 860 spazi sociali – tra i quali ci sono molte associazioni che svolgono servizi di cura alla persona – per rimetterli sul mercato come previsto dalla delibera 140 approvata dalla giunta di centro-sinistra Marino.

La liquidazione burocratica di questi servizi essenziali colpirà, tra pochi giorni, almeno nove centri attivi su 18. Si tratta di strutture rinomate come SosDonna h24 (che chiuderà lunedì); il centro dedicato alla memoria di Donatella Colasanti e Maria Rosaria Lopez, vittime delle violenze del Circeo nel 1975; La casa internazionale dei diritti umani delle donne, il Ceis-Don Picchi , e poi il centro Dalia, Ad Solei, Lucha Y Siesta, Cagne sciolte e lo sportello «Una stanza tutta per sé».

Il movimento ha chiesto un incontro alla neo-sindaca Raggi e, dopo ore passate in una canicola, l’ha ottenuto. Una delegazione composta da sei donne è stata ricevuta. La piattaforma di «Io Decido» è più ampia. Formulata in un’assemblea del 16 giugno, rivendica l’apertura di servizi antiviolenza in ogni municipio, obiettivo fondamentale in una città sconvolta dal blocco totale del welfare e della vita civile voluto dal regime commissariale che ha così pensato di rimediare alla corruzione prodotta dai bandi e dalle gare truccate nei servizi dal sistema di «Mafia Capitale». Il blocco sta invece provocando la liquidazione del welfare autogestito che supplisce alle carenze del pubblico in una città di 3 milioni di abitanti. Il movimento delle donne prepara una manifestazione nazionale contro la violenza maschile il prossimo 25 novembre.

«A fronte di tanti femminicidi ci troviamo di fronte ad un vero e proprio attacco da parte del Comune di Roma che sta inviando alle associazioni lettere per riappropriarsi di beni che ci hanno assegnato per la nostra funzione sociale. noi paghiamo 220 euro di affitto al mese e ne vogliono mille. Dal 2012, per un totale di circa 40mila euro» sostiene Dalila Novelli, presidente onoraria di Assolei operativa dal 1993. Questo caso è esemplificativo della situazione di progressiva privatizzazione dei servizi e della desertificazione sociale in atto nella Capitale.

Problemi intricati e stratificati che hanno mobilitato la parte più attiva della città alla quale ieri Virginia Raggi ha mandato un messaggio abile: si è impegnata nella salvaguardia dei centri che, ha detto alla delegazione, considera «prioritari e fondamentali».

Per le scadenze immediate ha chiesto di conoscerli per analizzarli nelle prossime ore. «È mia intenzione rafforzare e incrementare gli sportelli antiviolenza aprendo, al contempo, percorsi di prevenzione sul piano sociale» ha detto. «La Raggi è stata brava. Ha dimostrato di conoscere bene la situazione – hanno commentato le attiviste ricevute in delegazione – Non ha fatto promesse impossibili ed ha detto una cosa chiara: i centri antiviolenza non vanno chiusi».