Se le fantomatiche «periferie», marchio spesso abusato e tirato in ballo a sproposito, erano state la chiave di lettura della vittoria elettorale del Movimento 5 Stelle e di Virginia Raggi a Roma di cinque anni fa, da lì bisognerà ripartire per cominciare a costruire una cartografia del voto che ha condotto Enrico Michetti (cui viene attribuito dalle proiezioni 30,6%) e Roberto Gualtieri (che sta al 26,9%) al ballottaggio, con la sindaca uscente tagliata fuori dalla corsa finale. E proprio guardando alla parte di capitale che si dipana attorno ai due municipi del centro storico, emerge che l’astensione è aumentata di parecchio, visto che dentro il perimetro sociale e antropologico delle mura aureliane l’astensione si è fatta sentire meno rispetto ai municipi più lontani dal Campidoglio: per dirne una, nelle zone di Tor Bella Monaca e Ostia, dove il M5S sia alle comunali del 206 che alle scorse politiche raccolse moltissimi consensi, si va di poco sopra il 42% dei votanti. Anche da questi dati deriva il 20% raccolto da Raggi. Al di là delle rappresentazioni correnti, peraltro, il candidato che più si voleva espressione della Roma pariolina, Carlo Calenda, ha preso i suoi voti anche in periferia, pur raggiungendo le performance migliori delle zone a ridosso del centro. Da qui il 17,4% che gli viene attribuito dalle ultime proiezioni.

LA GARA, INSOMMA, sembra tornare dentro i binari del bipolarismo. Ma è una verità soltanto parziale, perché se si va a vedere dentro le due coalizioni che piazzano i loro candidati a sindaco si scoprono diverse anomalie che influenzeranno la contesa del ballottaggio e anche la natura delle future maggioranze. Da una parte, il candidato Michetti dopo una campagna elettorale difficile quando non problematica, ha raccolto i consensi dei partiti che lo sostengono ma difficilmente ha rappresentato un valore aggiunto. Dunque, Fratelli d’Italia può festeggiare il traguardo di essere diventato il primo partito a Roma (con il 18%) ma deve porsi il problema di allargare il perimetro per portare a casa la vittoria. Dall’altro lato, se Gualtieri raggiunge l’obiettivo che si era prefisso ciò avviene anche a causa (e verrebbe da dire nonostante) il risultato non entusiasmante del Pd, che secondo gli ultimi rilevamenti si fermerà di qualche punto sotto la soglia psicologica del 20%. Il che significa che se il candidato del centrosinistra dovesse vincere, la sua maggioranza sarà meno ortodossa di quello che ai piani alti del Nazareno avrebbero voluto sperare. Per di più, dicono molti dei protagonisti della campagna elettorale con tutte le cautele del caso, con due gruppi in assemblea capitolina (quello eletto con Raggi e i consiglieri di Calenda, che ha già annunciato che rinuncerà al suo seggio) che sono destinati a essere tutt’altro che monolitici e aperti ad alleanze su questioni specifiche. In questo senso si apre il capitolo delle due liste di sinistra che sostengono Gualtieri e che nel corso di queste settimane hanno promesso di mantenere la loro agenda anche dentro il perimetro della (eventuale) maggioranza: Roma Futura e Sinistra Civica Ecologista. Mentre scriviamo, entrambe sono date sopra il 2%.

QUESTI SCENARI sono vincolati all’esito del secondo turno del 17 e 18 ottobre prossimi. E alle scelte che vorranno fare i due candidati, sulla rosa di 4 papabili, che dal ballottaggio sono rimasti esclusi. Calenda ha confermato di non essere disponibile a ballottaggi o alleanze, rivendicando ancora una volta la natura trasversale del suo laboratorio (che, promette, «avrà anche una valenza nazionale»). Ma ha lasciato aperto uno spiraglio, dicendosi pronto ad ascoltare quel che avrà da dirgli Gualtieri in vista di una «indicazione di voto». Raggi è molto più risoluta, ha sottolineato di aver combattuto le «corazzate di centrodestra e centrosinistra» e promesso che non darà indicazioni di voto. L’ha subito pungolata Roberta Lombardi, assessora in Regione Lazio con Nicola Zingaretti: «In questi anni il M5S è maturato e non ha paura del confronto – dice Lombardi – La storia che stiamo facendo ci porta ad essere inclusivi e non pregiudizialmente oppositivi. La politica del territorio non è Risiko». Un punto di vista, quest’ultimo, che potrebbe far comodo a Conte, se dovesse decidere di appoggiare il suo ex ministro dell’economia nella corsa per il Campidoglio.