«Vogliono liberarsi di noi per via giudiziaria», aveva denunciato Luigi Di Maio utilizzando parole che ricordano altri scenari. Ma il tribunale civile di Roma ha rigettato il ricorso presentato dall’avvocato Venerando Monello: il contratto firmato da Virginia Raggi con il Movimento 5 Stelle prima delle elezioni non costituisce causa di ineleggibilità.

La sentenza era in qualche modo attesa, visto che prendeva di petto una questione politica (il vincolo che lega l’amministrazione grillina ai vertici del Movimento) concentrandosi sugli aspetti formali e giuridici. Ecco dunque che dalla prima sezione non ritenendo accettabile «la domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di ineleggibilità di Virginia Raggi» dichiarano anche «l’inammissibilità della domanda di nullità del Codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016». Dunque non solo la sindaca era eleggibile, ma il «contratto» firmato da Raggi e i selezionati per la lista alle comunali è da considerarsi valido.

La domanda di ineleggibilità non può essere accolta perché non siamo davanti a «nessuna delle ipotesi di ineleggibilità previste dalla legge», tantomeno ai giudici appare «ipotizzabile una interpretazione estensiva ed analogica delle stesse». L’avvocato Monello annuncia che ricorrerà in appello, ma per i giudici già in occasione di questo pronunciamento di primo grado non aveva titolo particolare a presentare il ricorso: in quanto «soggetto estraneo al Movimento 5 Stelle e non sottoscrittore dell’accordo non è portatore di un concreto interesse ad agire, giacché dalla rimozione del vincolo non potrebbe derivarne alcun effetto nella sua sfera giuridica».

Inoltre, si legge ancora nel dispositivo, il ricorso è contraddittorio nella stessa formulazione poiché ha il suo presupposto «nella nullità del patto sottoscritto da Raggi», il che renderebbe superflua «la pronuncia sulla domanda di nullità dell’accordo in questione».

La sindaca commenta la notizia nel mezzo di una giornata di ordinario impegno in Campidoglio. È ancora alle prese con la non lusinghiera posizione nella classifica del gradimento dei sindaci, in una graduatoria che invece vede in testa la collega di partito Chiara Appendino, cioè proprio una delle candidate del M5S che aveva rifiutato di firmare il famigerato contratto con Grillo. Inoltre, Raggi fin dalla mattina si ritrova tra le mani la patata bollente dello sgombero del canile comunale di Muratella e degli operatori che chiedevano l’internalizzazione del servizio, attirandosi anche le critiche del «tavolo animali» del Movimento.

«Speravano di rendere nulla la nostra vittoria, paragonando la stipula del Codice di comportamento del M5S a un accordo di una associazione segreta – esclama Raggi dal blog di Grillo – Non sanno più cosa inventare. Il problema è che non riescono ad accettare la sconfitta e il fatto che stiamo riportando la legalità». Dice la sua, e non è cosa frequente, anche Davide Casaleggio: «Da mesi si continua a martellare l’idea che qualche misterioso potere di una società privata decida per la città di Roma. Mi spiace deludere qualcuno, ma non è così».

Nessun commento da Beppe Grillo, che qualche mese fa, in occasione dell’accoglimento dei ricorsi di alcuni epurati che di fatto sconfessavano il regolamento stesso del M5S aveva ammesso: «Il M5S si trova in difficoltà a essere riconosciuto dalle leggi attuali». Ma ciò, proseguiva il leader, è dovuto al fatto che «la sua struttura e organizzazione è molto più innovativa e avanzata di quelle regolamentate dai codici».