Domenica pomeriggio in un auditorium del quartiere Laurentino i «meetup» del M5S romano si ritroveranno dopo anni. È un’assemblea di cui si parla da mesi, almeno da quando Virginia Raggi venne eletta sindaca di Roma nel giugno scorso.

Interrogati sull’eventualità del consesso cittadino, fino a qualche settimana fa i consiglieri comunali liquidavano la pratica con inconsapevole sufficienza, abituati ad un modus operandi che divide tutto per gruppo di lavoro e competenze territoriali e che difficilmente favorisce la discussione generale e il confronto tra idee differenti. La logica del divide et impera nel mondo grillino prevede che i diversi nodi della rete debbano passare dalla struttura centrale per coordinarsi.

«Non potranno usare il simbolo», dicevano quelli con più esperienza. E infatti l’incontro del prossimo 5 febbraio, pare su richiesta di Beppe Grillo in persona, non porterà le insegne pentastellate. Gli organizzatori vogliono evitare che si trasformi in una sorta di processo alla sindaca, le cui scelte poco condivise sono criticate da un pezzo del M5S romano, e la presentano quasi come una rimpatriata, fin dal titolo: «Dove eravamo rimasti?».

L’accesso alla sala sarà consentito solo agli iscritti, gli interventi concordati prima, i partecipanti segnalati dai diversi municipi. Unica concessione: la riunione dovrebbe essere trasmessa in streaming. Virginia Raggi non dovrebbe esserci, mentre la nemica Roberta Lombardi potrebbe palesarsi.

L’assemblea cade nei giorni in cui lo scontro interno al Movimento precipita nelle scottanti vicende giudiziarie che attraversano Palazzo Senatorio. Dopo l’arresto di Raffaele Marra e l’indagine per falso e abuso a carico della sindaca per le nomine, la procura di Roma ha aperto un fascicolo sulla manovra che avrebbe contribuito a sconfiggere Marcello De Vito alle primarie del M5S per la corsa alla Campidoglio. Sabato scorso, riporta Il Fatto Quotidiano, proprio Roberta Lombardi avrebbe riferito che De Vito venne accusato in un’indagine interna al M5S di abusi legati all’accesso di atti riguardanti una sanatoria edilizia. Dietro questo dossier contro il rivale di Raggi alle «comunarie» pentastellate ci sarebbe stato proprio Marra. Il funzionario in carcere dal 16 dicembre scorso per corruzione avrebbe aiutato la sindaca a screditare il suo principale antagonista nella corsa verso il Campidoglio? La voce circolava da tempo, da quando sempre la deputata Lombardi aveva parlato di Marra come di «un virus che infetta il M5S».

Al di là degli esiti penali, se questa storia dovesse essere confermata aiuterebbe a ricostruire il gioco di incastri tra interessi contrastanti, posizioni individuali e regolamenti che mantiene l’equilibrio nella guerra tra bande del M5S. La sindaca non avrebbe scaricato Marra fino al suo arresto perché il dirigente era custode di un segreto delicatissimo legato alla sua ascesa politica. Lei stessa, a sua volta, non sarebbe stata sfiduciata dai vertici nazionali perché legata in qualche modo a Luigi Di Maio e perché la sua uscita di scena verrebbe considerata un pessimo viatico per le elezioni politiche. De Vito, dal canto suo, non avrebbe avuto interesse finora a denunciare la trama ai suoi danni perché, proprio come la sindaca, è giunto al secondo mandato. La regola grillina prevede infatti che il limite dei due mandati a qualsiasi carica elettiva sia insuperabile.

L’effetto è perverso: i «nemici» Raggi e De Vito si trovano legati dalla stessa sorte disegnata dal mandato a termine, nient’affatto invogliati a staccare la spina e costretti a fare buon viso a cattivo gioco e puntare il tutto per tutto in questa consiliatura.