C’è una mappa di Roma che circola da ieri mattina, da quando i dati reali del voto romano hanno iniziato a confluire e a essere elaborati. Quella mappa racconta l’evoluzione ultima di una tendenza in corso da quasi trent’anni.

13315457_10154236286496737_2978511403365459122_n
È un puzzle composto dalle quindici tessere dei municipi capitolini. Ci sono tasselli rossi, assegnati al Pd: corrispondono ai municipi del centro storico e di San Lorenzo e Parioli, dove il partito di Renzi e Giachetti è maggioranza relativa.

Le due tessere sono letteralmente accerchiate da tessere gialle. Sono i municipi nei quali il Movimento ha vinto, battendo spesso il Pd e qualche volta Giorgia Meloni. Il tempo in cui ogni nuova periferia era appannaggio delle sinistre è passato. M

a un crollo verticale di questo tipo è inedito, approfondisce la crisi di identità del Pd romano e disegna una composizione del voto piuttosto precisa.

A partire da Ostia, il municipio sciolto per Mafia Capitale, dove Raggi raccoglie il 44 per cento dei voti e passando per Tor Bella Monaca, dove la pentastellata raccoglie il 41,04.

I 5 Stelle romani crescono del 10,3 per cento rispetto alle comunali del 2013, quando raccolsero il 24,9 per cento dei voti, e praticamente triplicano il loro bottino rispetto alle Europee del 2014, quando si fermarono al 12,8 per cento.

Tuttavia, c’è un ulteriore elemento che complica la faccenda. Se coloriamo la mappa di Roma usando le preferenze espresse per i candidati dei municipi, il giallo del Movimento 5 Stelle riempie soltanto cinque tasselli su quattordici (sarebbero quindici, ma a Ostia non si è votato causa commissariamento). Di fronte a persone conosciute nelle istituzioni di prossimità per eccellenza, anche il voto a un brand forte come i 5 Stelle si ridimensiona.

Le mappe giallorosse fanno brillare gli occhi della candidata supervotata, Virginia Raggi. «Non è finita: il 19 giugno bisognerà completare ciò che abbiamo iniziato, sarà l’occasione per riscrivere insieme, definitivamente, il futuro della nostra città» ha detto ieri.

Dopo il successo, ha evitato ogni appuntamento pubblico. Unico impegno in agenda, da politico consumato più che da outsider, il passaggio serale davanti alle telecamere di Bruno Vespa.

Se Raggi è entrata nella parte del corridore in fuga, Giachetti si comporta da inseguitore, sfidando la sua avversaria a partecipare a un confronto: «Spero di potermi confrontare con Raggi sulle idee di Roma che abbiamo. Fino ad ora lei si è rifiutata».

Domenica sera, a botta calda, Alessandro Di Battista, membro del direttorio del M5S, ha detto davanti alle telecamere che la squadra degli assessori sarebbe stata comunicata prima del ballottaggio. L’annuncio pare più che altro dettato dal momento di euforia e da un colpo di improntitudine, ma in effetti Raggi e il cerchio magico romano che la coadiuva stanno facendo delle verifiche per individuare i nove nomi (più uno «pro tempore» alla «riorganizzazione delle società partecipate») della giunta a 5 stelle.

Pare sia stato proposto l’assessorato alla cultura allo storico dell’arte moderna e saggista Tomaso Montanari, che però avrebbe declinato l’offerta. Da qualche giorno è invece dato per certo il nome del rugbista Andrea Lijoi, al quale andrebbe l’assessorato allo sport.

Tra le ipotesi, anche l’urbanista Paolo Berdini, avvistato più volte agli incontri pubblici del M5S. Grande attenzione sull’assessorato al bilancio, che dovrà gestire il complesso passaggio del debito che grava sulle casse del Comune di Roma.

Raggi ha spiegato in più occasioni che l’unico criterio sarà il merito e che «verranno analizzati i curriculum», ma una qualche forma di spartizione è inevitabile. Ecco perché il ritrovato rapporto con Roberta Lombardi, che si è occupata molto di emergenza abitativa e che lo scorso 3 giugno a piazza del Popolo ha dedicato gran parte del suo intervento a questo tema, verrebbe celebrato con la nomina di un dirigente al dipartimento competente.

Si parla di una figura proveniente direttamente dal mondo delle associazioni degli inquilini.

Quella di Roma è stata la prima, significativa, affermazione del M5S senza un ruolo preponderante di Beppe Grillo.

Anche nei capannelli tra volontari e «portavoce» circola una valutazione fino a poco tempo fa impensabile, o meglio impossibile da pronunciare a voce alta senza passare per un dissidente: «L’assenza di Grillo ci ha favorito, le sue parole avrebbero spaventato il ceto medio e il voto moderato».

«Sono le prime elezioni senza Casaleggio e con Grillo che ha deciso di fare un passo di lato, questo segna la crescita del Movimento e noi siamo molto soddisfatti», ha detto il più ortodosso Di Battista.

Ma il «passo di lato» annunciato dal comico e fondatore viene considerato più una tattica di comunicazione che un segnale di mutazione della struttura del Movimento.

Soltanto fino a pochi giorni fa, non bisogna dimenticarlo, parlavamo della sospensione di Pizzarotti decisa da Casaleggio Jr. e del ruolo di «garante» di Grillo.

Questa presenza-assenza di Beppe Grillo è l’ennesima complessità dello strano animale che si appresta a entrare nella stanza dei bottoni della capitale.