Mentre da dentro il Movimento 5 Stelle trapelano polemiche sulle spese del deputato Luigi Di Maio, faccende contabili di ben altro spessore interrogano la pentastellata Virginia Raggi. Ieri la sindaca di Roma è andata a Palazzo Chigi a parlare di bilancio e salario accessorio. Non c’era Matteo Renzi, volato oltreoceano a pranzo con Obama. La delegazione governativa era condotta dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Claudio De Vincenti, che nelle settimane scorse aveva avuto parole sprezzanti per il no di Roma alla candidatura olimpica: «Quando avrà voglia di passare a Palazzo Chigi Raggi troverà la porta aperta – aveva detto – Così le spiegheremo nel dettaglio come funziona un bilancio pubblico». E Raggi si è presentata. Con lei c’erano il nuovo assessore al bilancio Andrea Mazzilo, il (contestato) direttore del dipartimento personale

Raffaele Marra e il ragioniere generale Stefano Fermante, che un paio di settimane fa aveva minacciato dimissioni a causa dell’assenza di indirizzi politici provenienti dalla nuova amministrazione.
La faccenda pare soggetta a tecnicismi ma è fortemente politica, legata alle compatibilità e alle rotture promesse dai grillini. Raggi va a bussare al governo nazionale perché questo è quanto prevede, di fatto, la prassi ordinaria. Basta dare una rapida occhiata ai numeri per capirlo. Il debito pubblico di Roma Capitale ammonta a circa 8,6 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i quasi 5 miliardi di interessi (ai tassi attuali). Dal 2008, all’inizio dell’amministrazione di Gianni Alemanno, la gestione dei debiti e dei crediti è stata affidata a un «Commissario straordinario». Carica attualmente ricoperta dall’ex assessore al bilancio della giunta Marino, Silvia Scozzese. Ascoltata alla Camera sei mesi fa, Scozzese ha spiegato che non sono individuati i soggetti cui fanno capo il 43% delle posizioni debitorie e il 77% di quelle creditorie presenti nel sistema informatico del Comune. Di fronte a questa situazione, Raggi aveva risposto favorevolmente a quanti prima del voto le chiedevano un audit sul debito, che consentisse di ricostruirne la storia e che favorisse la ricontrattazione dei tassi di interesse. Ciò avrebbe consentito maggiore libertà di movimento alla nuova amministrazione, schiacciata come molti comuni italiani dal patto di stabilità prima e dal pareggio di bilancio poi. Invece, dai toni trapelati all’uscita dell’incontro di ieri e dalle dichiarazioni della sindaca pare proprio che il braccio di ferro sul debito storico annunciato in campagna elettorale sia rimandato a data da destinarsi. «Abbiamo parlato anche del Piano di riequilibrio – ha detto conciliante la sindaca – Sarà presto riattivato il tavolo interistituzionale. C’è stato un clima di collaborazione anche sul Piano di rientro dal debito»

Raggi sprizza prudenza anche perché ha bisogno di risolvere la questione del salario accessorio ai 23 mila dipendenti del Comune. Anche questa vicenda affonda nelle gestioni precedenti: era sindaco Ignazio Marino quando il ministero dell’economia contestò l’indebita erogazione del salario accessorio negli anni precedenti. Ballano 340 milioni di euro, che nei programmi di Raggi dovrebbero essere recuperati grazie al Piano di rientro al quale è sottoposta Roma Capitale. Cgil, Cisl e Uil sono prudenti: «Adesso vogliamo vedere i fatti – dicono in un comunicato – Senza l’immediata riapertura delle trattative per il nuovo contratto integrativo e chiarezza sui tempi le nostre iniziative, dall’azione legale collettiva appena partita fino alla mobilitazione, restano in campo».

A proposito di bilanci: ieri in Senato è comparso un ordine del giorno firmato da esponenti del Pd e di Forza Italia sul possibile ricorso a «procedure straordinarie» per il rilancio di Atac e sulla possibilità di «collocare temporaneamente la partecipazione dell’azienda all’interno di un organismo statale dotato delle necessarie competenze» con l’affidamento ad una «struttura tecnica ad hoc» del «compito del risanamento industriale e patrimoniale dell’azienda». La mossa trasversale ha provocato le proteste di M5S e Sel che hanno chiesto la verifica del numero legale, la cui mancanza ha provocato il rinvio del voto.