«Piano piano… Ci vorrà del tempo…Non abbiamo la bacchetta magica…Ci lasciano una città in macerie… Riusciremo a invertire la rotta di questa macchina che sta andando a sbattere contro un muro». Come? «Insieme. Roma cambia se cambiano i romani». Prudente, prudentissima Virginia Raggi nella prima intervista da sindaca di Roma. Concessa a Euronews, e non a una testata solo italiana perché, come spiega il suo staff, la vittoria a Roma «apre un nuovo corso» destinato a incidere sul ruolo dell’Italia in Europa.

Grandi ambizioni, ma la tabella di marcia è cauta. La nuova prima cittadina è stata accusata di non avere l’esperienza e la competenza per affrontare la sfida più difficile che ci sia oggi in Italia, risanarne la capitale, ma con quell’aria sempre contenuta e la voce bassa, quasi monotona, Virginia Raggi è invece perfettamente consapevole di quanto ardua sarà l’impresa. Per questo mette le mani avanti. Sta attenta a non promettere miracoli. Chiede l’aiuto di quegli stessi romani che la hanno eletta, molto più per esasperazione e speranza che per radicata convinzione.

Per lo stesso motivo sta ben attenta a non spaventare troppo. Evita metodicamente ogni proclama rivoluzionario. Offre la pace al Pd sconfitto ma con in mano le leve del comando centrale: «Ho sempre detto che mi sarei aspettata un rapporto leale e franco con le altre istituzioni e da parte mia c’è la massima disponibilità». La campagna elettorale «molto aspra nei miei confronti da parte del Pd» è finita. Ora «si riparte per lavorare nell’interesse dei romani». Quelli che votandola «hanno espresso la loro volontà di cambiamento».

Anche su quel fronte, la strategia per dare corpo al cambiamento», la neosindaca è rassicurante. Prima di tutto aggressione «al tesoretto degli sprechi», che secondo lei dovrebbe fruttare 1,2 miliardi, e allo stesso tempo rinegoziazione del debito-monstre, tra i 13 e i 16 miliardi, con un audit immediato e la rimessa in discussione dei tassi di interesse fermi al 2008, quando il costo del denaro era stratosferico rispetto a oggi. Al suo posto Roberto Giachetti avrebbe detto le stesse cose, con le stesse parole.

Rassicurante, e per molti anche deludente, il passaggio su uno degli obiettivi più temuti e “rivoluzionari”, il reddito di cittadinanza. Non è mica quello del referendum svizzero, sia chiaro. Qui si tratterebbe solo di portare le pensioni minime e i redditi «al di sotto della soglia di povertà» a 780 euro. Ma «in maniera graduale» e collegandolo a «delle proposte lavorative». Nella situazione devastata di Roma, più di questo nessuno potrebbe pensare di fare. Ma il tono è fatto apposta per rassicurare. Roma non è Parigi. Non siamo alla presa della Bastiglia.

Allo stesso modo, la sindaca votata quasi in egual misura dall’elettorato di destra e di sinistra frena gli ardori di chi ha riversato su di lei i consensi sperando in una politica alla Salvini, specialmente sullo sgombro dei campi nomadi. Macchè. «L’Europa ci chiede il superamento, non lo smantellamento». Significa? «Censimento delle condizioni socio-economiche, patrimoniali e reddituali. I bambini devono andare a scuola. I giovani avviati al lavoro, gli adulti lavorare e pagare le tasse. Chi ha la possibilità di di comprare o affittare casa lo farà». Non sono le ruspe che campeggiano nelle fantasie leghiste. Ma non sarà neppure una passeggiata.

Su un punto solo Virginia Raggi non arretra di un millimetro rispetto ai toni della campagna elettorale, e anzi se possibile rincara, le Olimpiadi e tutto quello che comportano: «Più che dello sport mi sembrano Olimpiadi del mattone, come del resto in tutto il mondo. Roma non può permettersi di fare ulteriori debiti per altre cattedrali nel deserto che resteranno tali».

È una dichiarazione di guerra in piena regola contro i poteri che a Roma comandano da sempre, contro l’oligarchia dei palazzinari e dei circoli canottieri, e la sindaca lo sa perfettamente. Se già dalla prima intervista con la fascia tricolore ha scelto di non lasciare spiragli è perché mira a procedere «piano piano», certo. Ma in una direzione ben precisa.