Tentava, come migliaia di altri migranti, di superare il confine per mettersi alle spalle l’Italia ed entrare in territorio francese, magari per proseguire il viaggio verso il nord estremo dell’Europa. E invece è morto mentre viaggiava su un treno «Ter» francese, probabilmente salito alla stazione di Ventimiglia. Aveva circa 30 anni e proveniva dal Mali, il ragazzo che è stato trovato venerdì sera, quando il treno si è fermano nella stazione di Cannes La Bocca, nella cabina adibita al controllo elettrico del convoglio.

Secondo le prime ricostruzioni, potrebbe essere rimasto folgorato durante il viaggio ma la conferma potrà venire solo dall’autopsia che verrà effettuata sul corpo nei prossimi giorni, malgrado alla morte del ragazzo potrebbero aver assistito tre altri migranti che sarebbero scappati all’apertura della porta della cabina elettrica, stando ai giornali locali che riportano la testimonianza del personale dell’Sncf (la società di gestione delle ferrovie pubbliche francesi) che ha rinvenuto il corpo.

MA NON È UNA NOVITÀ: con quest’ultima morte, secondo i dati delle Ong francesi, salgono a dodici i migranti deceduti dal 2016 mentre tentavano di superare la frontiera italo-francese nella sola zona di Ventimiglia. Appena domenica scorsa alla stazione di Roquebrune -Cap-Martin un altro giovane è stato trovato gravemente ustionato alle gambe sul tetto di un «Ter» partito dalla città italiana di confine. È andata peggio ad un altro migrante il cui corpo è stato ritrovato il 17 febbraio scorso sulla sommità di un treno proveniente dall’Italia, carbonizzato al punto da apparire irriconoscibile. Un altro ancora ha perduto la vita su un sentiero di montagna chiamato «il passo della morte», a Menton.

SECONDO UN RAPPORTO di Amnesty International Francia, che ha condotto una missione di osservazione nelle Alpi marittime dal 19 gennaio al 26 gennaio 2017 accertando una serie di violazioni commesse dalla Francia nei confronti dei rifugiati che attraversano il confine franco-italiano, «nel 2016 la Prefettura locale avrebbe arrestato quasi 35.000 persone in tutto il Dipartimento, cosa che rappresenterebbe un incremento di oltre il 40% rispetto al 2015. La stragrande maggioranza di questi arresti è avvenuta nel confine franco-italiano. Secondo la prefettura delle Alpi Marittime, nove su 10 persone arrestate sono state riammesse in Italia. Possiamo quindi dedurre – riferisce AI – che sono state emesse almeno 30.000 misure di “non ammissione” nel 2016, solo in questo Dipartimento. Ciò rappresenta quasi il 70% di tutti i dinieghi di ammissione al territorio».

DAL REPORT DI AMNESTY Francia si apprende che «il più delle volte, le espulsioni verso l’Italia sono organizzate in modo informale, in condizioni che suggeriscono facilmente il mancato esercizio da parte delle persone coinvolte dei loro diritti. Nella maggior parte dei casi, infatti, le persone fermate alla frontiera sono private di qualsiasi possibilità di far valere i loro diritti, in particolare il diritto di chiedere asilo». E c’è un problema specifico sui minori non accompagnati che «non stanno ricevendo l’attenzione necessaria, come richiesto dalla legislazione francese sulla protezione dell’infanzia».

«Se ti arrestano a Mentone o poco prima, ci sono due possibilità. Se sei minorenne, la polizia ti rimette direttamente sul treno – racconta ad Amnesty l’eritreo Bilal – Se invece sei maggiorenne, o ti considerano tale, ti portano alla stazione di polizia di Mentone e lì, circondato da agenti, ti consegnano ai poliziotti italiani che si trovano alla frontiera». Così a Ventimiglia ci sarebbero già 600 minori non accompagnati. Gli ultimi arrivati, circa 200, si sono accampati sul greto del fiume Roja, in condizioni igieniche proibitive, perché il centro di accoglienza del Parco Roja, seppure ampliato, non riesce ad ospitarli tutti.

SEMPRE SECONDO AI, «ogni giorno, delle persone, compresi bambini, cercano disperatamente di passare la frontiera» moltiplicando i punti di accesso e rischiando di cadere nelle reti dei contrabbandieri e dei trafficanti di uomini, «fenomeni prosperati da entrambi i lati del confine». Aiutarli, quindi, non è un crimine.