Indaga le «acrobazie del cuore» il vocalist-compositore Anthus. Nato in Sicilia, cresciuto artisticamente in Irlanda e soprattutto in Spagna, il cantante dopo l’autobiografico Calidoscòpic (2017) ha omaggiato Chet Baker con il trombettista Pol Omedes (2018). Con Acrobatic Heart – prodotto in totale indipendenza – torna alla ricerca di un’identità jazz mediterranea, lavorando su lingue e tematiche, sostenuto da un quartetto essenziale per la tessitura e l’equilibrio della musica negli otto brani originali: Oriol Vallès (tromba), Max Villacchia (piano), Giuseppe Campisi (contrabbasso) e Ramón Diaz (batteria). In Soma Na Kar Anthus usa una lingua mediterranea di sua invenzione e traccia un’articolata, incalzante, angosciosa melodia doppiata dalla tromba: nel pezzo il timbro asciutto e tagliente della batteria è in netta evidenza. Pregevole il suo solo in scat in Festum, astratto il funky – con sfumature flamenche – in Acrobàcies D’un Cor Al Trapezi ed è proprio la metafora dell’acrobazia (esistenziale, canora) a percorrere il cd, come nella riuscita suite Acrobatic Heart. Anthus allarga poi il suo orizzonte ai mali della società: parla della violenza sulle donne usando l’inglese in Portrait e servendosi dell’immagine di una «cornice-contesto sociale» opprimente; narra di un Mediterraneo luogo di morte, evocando la tragedia degli immigrati affogati. In Mare Mortum la lingua catalana racconta accorata di «pesci strani» che «cercano terra dove camminare» ma «dormono nel nostro mare (…) già non sognano e mai più lo faranno». Per Anthus Acrobatic Heart è una prova di riuscita, eversiva maturità artistica.