In un’atmosfera apocalittica, dove ogni iniziativa culturale è annullata, restringendo lo spazio dell’immaginazione a un’attesa spaventevole della fine (mai predetta prima), l’apertura della mostra su Raffaello alle Scuderie del Quirinale di Roma è sbocciata come la primavera in una comunità umana deprivata, smarrita e in cerca di segni propizi. Proprio l’artista che, a soli 37 anni, nel fiore del suo vigore, morì dopo settimane di febbri altissime il 6 aprile del 1520, è divenuto un simbolo contagioso di resistenza e di desiderio di vita.

COSÌ, NEL TEMPO SOSPESO della «quarantena dei sogni», a distanza di sicurezza l’uno dall’altro e attenendosi alle regole di convivenza che impongono questi tempi appestati, l’arte si reinventa protagonista di spazi onirici, celebrando il cinquecentenario di Raffaello, pittore e architetto, ma anche prima figura consapevole e custode della memoria iscritta tra le pietre antiche e i monumenti. Ed è per questo motivo, forse, che il ritratto restaurato di recente di Leone X, uscito dagli Uffizi fra le polemiche (che hanno portato alle dimissioni di quattro membri del comitato scientifico della pinacoteca fiorentina, per protesta contro la decisione del direttore Eike Schmidt) si è trasformato in un perno intorno al quale finisce per girare gran parte della mostra, almeno dal punto di vista concettuale. In quella postura originale del pontefice e, poco oltre, nel volto aperto e fiducioso di Baldassarre Castiglione (proveniente dal Louvre) si esplicita l’idea di un Umanesimo della metamorfosi in cui assetti urbanistici, luoghi di incontro, ricercatezza letteraria e cromatismi audaci scrivono nuove pagine di storia, stratificandole sul testamento della classicità e del passato condiviso. Lo dimostra bene la lettera (mai spedita e tornata alla luce nel 1733), redatta nel 1519 da Raffaello Sanzio e lo stesso Castiglione, indirizzata a papa Leone X sul tema della tutela e del rispetto da tributare alle «rovine» di Roma. Avrebbe dovuto essere la prefazione per una raccolta di disegni degli edifici della Roma imperiale, «riprodotti» secondo volontà del pontefice.

L’ESPOSIZIONE ALLE SCUDERIE – visitabile fino al 2 giugno – presenta duecentoquattro opere di cui centoventi di Raffaello, divise tra disegni, dipinti, progetti architettonici (le piante di san Pietro con Sangallo), ed è costellata di prestiti eccezionali, fra i quali si annoverano la Madonna Alba di Washington e quella della Rosa del Prado, il corpus di disegni della regina Elisabetta. Curata da Marzia Faietti e Matteo Lafranconi, con il contributo di Vincenzo Farinella e Franco Paolo Di Teodoro, la rassegna spazia a 360 gradi sullo sperimentatore-principe.

Quel Raffaello (nato nell’«anno 1483, in venerdì santo», come vuole la tradizione), educato prima dal padre Giovanni Santi e poi dal Perugino, che viaggiando tra Firenze e Roma affinerà il suo alfabeto visivo tra sapienza antiquaria e sguardo d’avanguardia. Soprattutto, sarà una figura di artista e imprenditore (la sua celebre bottega-scuola) che sposterà i confini del suo mestiere rendendosi creatore del suo stesso mondo.