Raffaello, con Williams: perché un artista è grande?
Raffaello Sanzio, Studio di due apostoli e delle loro mani, un disegno di Oxford, Ashmolean Museum
Alias Domenica

Raffaello, con Williams: perché un artista è grande?

Un saggio, da Carocci «Imitazione sintetica», «decoro», bottega: tre nuclei intorno a cui Robert Williams, allievo di John Shearman e scomparso nel 2018, ridefinisce, intorno all’opera di Sanzio, l’idea di arte nel suo secolo: «Raffaello e la ridefinizione di arte nel Rinascimento»
Pubblicato circa un anno faEdizione del 17 settembre 2023

Chissà se è possibile rispondere alla domanda sul perché un artista è un grande artista. All’apparenza banale, un quesito come questo è in realtà complesso, spinoso, disorientante. È un interrogarsi sul ruolo che alcuni artisti hanno saputo incarnare meglio di altri; ma anche sugli orizzonti d’attesa che, nel tempo, si sono proiettati su quelle opere e sui loro creatori. Corsi e ricorsi della storia, si dirà. E sarà pur vero, a patto però di esser ben consci che questi fenomeni affondano le loro radici in un terreno che è quello proprio della storia stessa, del suo succedersi incessante e mutevole.

Il caso di Raffaello è, a questo proposito, esemplare. Perché fu un grande artista? Come riuscì a imprimere una svolta così profonda e radicale all’arte del suo tempo? Dove il lemma «arte» va inteso nel senso più largo, a includere sì le tre arti sorelle, ma anche quelle che si definiscono «arti minori» – e basterà pensare alla monumentale impresa degli arazzi per la Cappella Sistina commissioati da Leone X.

In parte una risposta a quesiti così impegnativi la offre il volume di Robert Williams Raffaello e la ridefinizione di arte nel Rinascimento (pp. 494, 113 ill. in b/n e col., € 52,00), appena pubblicato da Carocci nell’ottima traduzione e curatela di Luisa Castellani e con una bella prefazione di Alessandro Nova. La prematura scomparsa dell’autore, nel 2018, gli ha impedito di vedere tradotto in italiano il libro che, per lui, era stato una lunga fatica, frutto di anni di studi e riflessioni. Seppur con questo rimpianto, è necessario celebrare quest’edizione, non solo perché è il primo libro di Williams a esser tradotto da noi (l’edizione inglese era del 2017, uscita da Cambridge UP), ma anche perché, nella sua serrata, smagliante e agguerritissima analisi, spinge a riflettere, più in generale, anche sui fini e sulle ragioni dell’arte. Non è un obiettivo secondario, questo. Nell’introduzione Williams lo dichiara apertamente: uno degli obiettivi della rilettura di Raffaello è comprendere meglio alcune delle ragioni della sfortuna dell’arte del Rinascimento presso le epoche successive, come quella modernista novecentesca. Ampliando poi le proprie critiche nella conclusione, Williams avanza alcune proposte su come controbilanciare un certo irrazionalismo di matrice romantica che aleggia ancora attorno al nostro modo di avvicinarci alle opere d’arte, per riportare invece il lettore a valutare appieno il profondo razionalismo cinquecentesco.

Entro questi due capitoli (introduzione e conclusioni), il volume si costruisce attorno a tre nuclei, dedicati ognuno a un particolare aspetto dell’arte di Raffaello, e attraverso un fil rouge d’impianto cronologico. Nel primo capitolo Williams ci fa seguire la nascita e la declinazione raffaellesca di quella «imitazione sintetica» che si sarebbe rivelata così importante agli occhi dei contemporanei, cioè quella capacità di dar vita a uno stile personale facendo propri elementi dello stile altrui. Offre anche, questo capitolo, una rilettura della centralità dell’eclettismo dello stile, di quella capacità di governare visivamente e stilisticamente le suggestioni che arrivavano dai più rinomati artisti «a portata d’occhio», che vale non solamente per il Sanzio, ma che getta la propria ombra anche su altre epoche. Una lettura capace di offrire molteplici spunti e, soprattutto, di ricollocare il Sanzio all’interno di un contesto come quello dell’Italia centrale allo schiudersi del Cinquecento.

Una volta chiarite le ragioni della centralità di questa pratica, Williams passa ad analizzare uno dei concetti centrali delle rappresentazioni rinascimentali, e cioè il «decoro». Il secondo capitolo, infatti, ruota tutto quanto attorno al modo in cui Raffaello è riuscito a far propria questa categoria e a come poi l’abbia saputa trasfondere nelle proprie opere, dandole operatività e sfruttandola per la migliore riuscita. La categoria di «decoro» agisce su tre livelli dell’opera: (1) sul rapporto fra gli elementi di un’immagine e ciò, del mondo, che essi rappresentano; (2) sul modo in cui un’immagine nel suo insieme si lega al proprio contesto; e infine (3) sul rapporto fra le diverse parti di un’immagine. Un concetto fatto di rapporti, di relazioni fra opera e contesto, e fra parti dell’opera e il suo insieme. Una categoria dinamica, che occupa un posto centrale quant’altri mai nell’operatività artistica. È, secondo Williams, il concetto che permette di cogliere al meglio l’intelligente e sbalorditiva vena narrativa di Raffaello, la sua strabiliante capacità di narrare visivamente le storie. Così ci si trova di fronte ad alcune delle pagine più belle del volume, dedicate alle Stanze Vaticane e alle Logge, in cui l’autore offre una delle migliori analisi di questi capolavori che sia stata offerta in tempi recenti. La capacità di Raffaello di agire sulla «sistematicità di rappresentazione», che dà il titolo al capitolo, è la chiave di volta del suo successo.

Ma, si sa, per arrivare alle vette della fama è necessario anche avere una folta schiera di aiuti e collaboratori: è questo il tema del terzo capitolo, dove Williams analizza il complesso legame tra Sanzio e i propri allievi, e i problemi posti dalla necessità di governare cantieri molto grandi senza che emergesse il divario di stile tra la mano del maestro e quella dell’aiuto (tema, questo, che anche il maestro di Williams, John Shearman, aveva affrontato in altro modo nei propri cruciali studi raffaelleschi).

In alcuni punti del libro gli obiettivi polemici sono apertamente dichiarati, come nel caso di Hans Belting e delle sue posizioni circa la diversità fra «immagine di culto» e «opera d’arte». Per Williams è centrale la necessità di cogliere come proprio attraverso artisti quali Raffaello si fosse sviluppata la «narrazione», quella capacità, cioè, di saper trascegliere e ‘tradurre’ visivamente le parti di una storia.

Un aspetto importante del libro è che, per costruire il proprio testo, Williams ha dedicato grandissima attenzione alla vita che Vasari scrisse del Sanzio. L’attenzione al testo vasariano, che in ogni capitolo è analizzato minuziosamente pezzo per pezzo, fa sì che le pagine dell’aretino costituiscano una sorta di contro-canto rispetto alla voce principale dell’autore, facendone emergere tutta la centralità per ricostruire il percorso di Raffaello e per comprendere lo sguardo che i contemporanei avevano sull’artista, ma senza passare sotto silenzio i punti problematici.

Un volume assai denso, di fronte al quale il lettore non è però lasciato solo: la chiarezza di Williams non viene infatti mai meno, e aiuta a seguire il procedere delle sue idee in rapporto all’arte di Raffaello. Quello che alla fine emerge è uno sguardo acuto sull’opera dell’artista, che aiuta a mettere a fuoco alcuni nuclei concettuali e spinge a interrogarsi sul perché le cose abbiano la forma che hanno.

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