Chi, dalla vita, ha avuto in dono la capacità di far musica con uno strumento, o con le parole, ed al contempo s’è visto infliggere la sorte di non poter contare sulle proprie gambe, spesso ricorre alla metafora del volo. Quasi che all’impossibilità di muoversi e correre come gli altri facesse supplenza un altro dono speciale, quello di librarsi con le note e i vocaboli. Volavano alte e fiere le parole di Stefano Bertoli che raccontava di un vento «che soffia ancora» dalla sua sedia a rotelle, volano tutt’ora leggere come mongolfiere le grandiose, spesse parole che l’angelo rosso in carrozzina Robert Wyatt distilla di quando in quando per la gioia di noi figure ancorate a terra. E volavano alte anche le parole delle canzoni di Raffaele Tuttofuoco, uno che il destino di fiamma della poesia e della musica ce l’aveva iscritto nel nome. Raffaele Tuttofuoco era un grande cantautore con lo sguardo duro e diretto, i capelli e la barba che fiammeggiavano come il suo cognome, una chitarra sempre tra le mani.

Un quarto di secolo fa, era il 19 agosto del 1991, Tuttofuoco dovette andarsene da questo mondo a quarantasei anni, dopo che l’ennesima operazione gli aveva compromesso un sistema circolatorio in debito di forze. Raffaele era nato in altro e pesante agosto, quello del 45, in provincia di Varese: lì erano sfollati i suoi genitori milanesi per scampare ai bombardamenti. Credevano fosse nato poliomielitico, in realtà non camminò mai per un errore umano, un trauma ostetrico, gli avevano reciso alcune terminazioni nervose a livello lombare, e gli venne diagnosticata, come succedeva spesso in questi casi, una «paralisi infantile».

20vis1Cover Aicardi Tuttofuoco

La casa diventò il suo spazio, non i giardini della Milano ritrovata. E lì Raffaele cominciò a suonare la chitarra, e poi la tromba, il clarinetto, il pianoforte. Un talento naturale che diventò anche poi, anni dopo, strutturata educazione musicale: passò l’esame della Siae come «melodista trascrittore», ed oggi, negli archivi della Società, circa un centinaio di splendidi brani raccontano altri sogni, riflessioni, speranze, analisi di un grande «angelo in catene». E qui inizia l’altra storia, quella delle «canzoni ritrovate» e ricantate di Raffaele Tuttofuoco. La telecamera a questo punto diventa un ingombrante aggeggio anni 70, e inquadra un giovane genovese, Ezio Aicardi, diciottenne che trova il suo primo lavoro a Siena, conosce un milanese, Andrea, e viene condotto un giorno, in quella casa milanese dove Lele Tuttofuoco riceve gli amici, e fa ascoltare le sue nuove canzoni. La casa di Tuttofuoco è un allegro e intenso crocevia di persone, di idee messe in movimento, un luogo simbolo di una Milano che mulinava musica, progetti e socialità, non finanza gelida. Tant’è che nasce una bella amicizia tra Tuttofuoco e Aicardi: che gli promette l’invio di una cassetta con le canzoni e gli spartiti, ma quel plico non arriverà mai a casa Aicardi, ci si mette di mezzo il destino.

Trent’anni dopo Aicardi ripensa a quell’incontro, ritrova un numero di telefono, chiama a casa Tuttofuoco. Lele non c’è più, ma Aicardi viene invitato di nuovo in quella casa. E da un baule, come nelle favole, salta fuori la cassetta perduta, gli spartiti, i mille appunti del cantautore. Aicardi, che ha lunga esperienza di note d’autore, ed è un ottimo conoscitore e cantante della musica d’autore brasiliana e francese si butta capofitto nell’ impresa: non si scherza, con i giochi del destino. E oggi, dopo anni di lavoro limato all’inverosimile, possiamo riascoltare le semplici e meravigliose canzoni di Lele Tuttofuoco in un cd, Volo – Tributo a Raffaele Tuttofuoco, pubblicato da Ala Bianca. Splendono le melodie, risplende la musica nell’aggraziata vocalità di Aicardi, e nella chiamata a raccolta di magnifici musicisti genovesi che hanno dato una mano a vestire quelle note: ad esempio, per citare qualcuno, quelle di Bob Callero, storico musicista del giro progressive rock, e poi il flauto classico di Fabio De Rosa, le percussioni sapienti di Marco Fadda. I proventi di Volo andranno ad finanziare un nascente progetto di solidarietà per chi oggi soffre della patologia che portò via Tuttofuoco, Apos, Associazione per i bambini affetti da paralisi Ostetrica. «Lele», dall’alto, strizza l’occhio e inventa un nuovo arpeggio e nuove parole.