Stefano Salvi, dirigente tecnologo dell’Ingv-Cnt, insieme ai ricercatori del Cnr-Irea state studiando le prime immagini radar acquisite dai satelliti della costellazione Sentinel-1 del Programma europeo Copernicus. Sono dati particolarmente importanti per capire i recenti terremoti che hanno interessato il centro Italia?
Sì, sono dati importanti per la valutazione della sequenza sismica perché con i soli dati sismologici la possibilità di capire esattamente dove stia la faglia, come sia posizionata in profondità e quali siano le caratteristiche dello scorrimento sui piani della faglia, è molto limitata.

Dunque cosa avete rilevato, c’è qualcosa di particolare nel sisma del 30 ottobre?
Sì, alla fine qualcosa di particolare c’è. Confrontando le immagini acquisite da orbite discendenti il 25 ottobre ed il 31 ottobre, prima e dopo i due eventi, quello di Visso del 26 ottobre (5,9 Mw) e quello di Norcia di domenica (6,5 Mw) abbiamo individuato un’area di circa 35 km per 15 km all’interno della quale si è verificato un abbassamento del suolo che ha un picco massimo di 70 cm. Si tratta di un movimento non percettibile all’occhio umano.

Su queste pagine, Alberto Michelini, ex direttore del Centro nazionale terremoti dell’Ingv, ieri parlava dell’attivazione di una faglia lunga circa 25 km che si è spostata, nel picco massimo, di circa 2 metri. C’è corrispondenza tra questi dati sismologici e i vostri?
Mi aspetto di sì. I dati riportati da Michelini sono acquisiti da sismogrammi e accelerogrammi, ma vanno sostanzialmente d’accordo con i nostri. Secondo alcune leggi fisiche, se all’interno ho uno scorrimento della faglia di circa due metri, in superficie devo aspettarmi un movimento del suolo intorno ai 50 cm.

A cosa servono questi studi?
Dai dati satellitari otteniamo una mappa dello spostamento verticale, in su o in giù, della superficie terrestre, con una risoluzione di 10 metri. E poiché l’origine di questo abbassamento è la dislocazione dei due piani di faglia, utilizzando dei modelli geofisici possiamo calcolare la posizione della faglia in profondità. Questo serve innanzitutto per capire quale potrebbe essere la redistribuzione spaziale della maggior parte delle repliche. Perché normalmente i cosiddetti aftershock si vanno a localizzare attorno alla zona che ha registrato il massimo scorrimento in profondità. Ossia, laddove la faglia si è mossa di due metri non ci aspettiamo altre scosse perché lo sforzo che si era accumulato è stato rilasciato. Ce lo aspettiamo invece nelle zone limitrofe.

In questo modo si può capire anche quali altre faglie potrebbero attivarsi?
Questo è l’altro dato interessante: riuscendo a ricostruire lo spostamento della faglia, punto per punto, possiamo calcolare anche quanta parte dell’energia precedentemente accumulata è stata trasferita durante il sisma sulle faglie vicine. E queste potranno attivarsi o meno a seconda dei loro limiti di tenuta.

E comunque è impossibile fare previsioni, giusto?
Sì, perché non sappiamo qual è lo stato attuale dell’accumulo dello sforzo su una determinata faglia e neppure qual è il suo limite di tenuta dello sforzo. Dunque non possiamo sapere se e quando si attiverà. Per esempio, dopo il terremoto di Amatrice avevamo visto che gli sforzi sono aumentati a nord e a sud della faglia che si era attivata in quell’evento. Ci si poteva aspettare dunque semmai di vedere scattare le faglie più prossime, e invece se n’è attivata una molto più a nord, a Visso, il 26 ottobre. Un “buco” che poi si è riempito il 30 ottobre.

Cosa è successo al Monte Vettore?
La cima si è sollevata mentre la piana di Castelluccio che sta ai suoi piedi si è abbassata. Ecco perché la montagna si è spaccata.

Il movimento del suolo continuerà?
Sì, potrebbe. Ci aspettiamo che nei prossimi otto mesi, anche in assenza di altre scosse, ci sia un abbassamento di altri 10-15 cm. Ma sono movimenti quasi impercettibili che non comportano alcuna conseguenza sulle costruzioni. Ci sono sempre stati, solo che ora con i satelliti possiamo rilevarli.