«Non può essere il governo a decidere quali giornali vanno in edicola e quali non sono necessari al pluralismo dell’informazione. Non può essere il governo a decidere se Radio Radicale debba continuare o no a fornire il servizio pubblico che garantisce da 43 anni». È una regola del nostro Stato, non un punto di vista, il concetto affermato da Matteo Bartocci. Il direttore editoriale de il manifesto è intervenuto ieri, a nome delle cooperative editrici della Legacoop, al presidio organizzato dalla Federazione nazionale della stampa in piazza Montecitorio per opporsi al colpo di mano imposto dal M5S all’intero arco parlamentare, nessuno escluso.

E infatti c’erano rappresentanti di tutti i partiti, a prendere parte alla maratona oratoria in favore dell’organo della Lista Marco Pannella: dalla Lega a Leu, dall’Altra Europa con Tsipras a Fratelli d’Italia, da Forza Italia al Pd, oltre naturalmente a tutti i partiti della galassia radicale. «Chiediamo che si dia al Parlamento la possibilità di pronunciarsi – scandisce il segretario nazionale dell’Fnsi, Raffarle Lorusso aprendo il sit-in – e che vengano messi in votazione gli emendamenti per salvare Radio Radicale, il manifesto, l’Avvenire e tante altre piccole testate che sono l’ossatura del pluralismo e danno voce a territori che altrimenti non ne avrebbero». «L’inammissibilità significherebbe il bavaglio al Parlamento», puntualizza il presidente dell’Fnsi, Beppe Giulietti.

CI SONO DUE DECRETI sui quali si può intervenire per scongiurare il rischio di una chiusura immediata dell’emittente che ha poche settimane di autonomia finanziaria, dopo il blocco della convenzione con il Mise per la trasmissione delle sedute parlamentari assegnata a Radio Radicale – come ha ricordato il presidente dell’Ars, Vincenzo Vita – tramite un bando pubblico in applicazione della legge 224/1998. Un servizio definito «di interesse generale» dall’Agcom in una segnalazione urgente inviata più di un mese fa al governo.

Perché, come dice il deputato dem Roberto Giachetti, da 12 giorni in sciopero della fame (e 5 senza bere, prima di finire in ospedale), «si può ragionare su una soluzione, che riguardi la Rai o altro, ma non c’è nessuna soluzione che prescinda da una proroga della convenzione, senza la quale il servizio si interromperà e Radio Radicale sarà costretta a chiudere».

OGGI ALLA CAMERA, nelle commissioni riunite Bilancio e Finanza, verrà riproposta la riammissione degli emendamenti (di Lega, Leu e Pd) al decreto “Crescita” bocciati dal M5S. Se, dopo la batosta elettorale, Di Maio avrà ammorbidito le sue posizioni (e quelle del sottosegretario Crimi), i presidenti potrebbero lasciare che a decidere sia l’assemblea dei deputati. Emendamenti che possono essere presentati anche direttamente in Aula, col permesso del presidente Fico, uno dei pochi del M5S non pregiudizialmente contrario.

Al Senato invece (dove il 5 giugno si discuterà una mozione ad hoc) spetta alla presidente Casellati rivedere l’inammissibilità degli emendamenti presentati da Leu, Pd e FdI allo “Sblocca cantieri”, ma c’è il rischio che, come spiega la senatrice Loredana De Petris, «senza il consenso degli inamovibili 5 Stelle, non si riesca a superare la difformità di argomenti, come è stato fatto invece per l’emendamento sulla videosorveglianza negli asili».

DI FATTO PERÒ anche la Lega – alla quale l’ex presidente della Camera Laura Boldrini ha chiesto di mediare con il M5S – non sembra disposta ad intraprendere un braccio di ferro con gli alleati di governo anche sull’informazione. Dal sit-in, dove erano presenti tra le tante associazioni anche Stampa romana, Usigrai, Articolo 21, Cgil e l’Ordine dei giornalisti, e hanno fatto capolino le ex ministre Beatrice Lorenzin e Marianna Madia, sono stati lanciati appelli anche dal cdr de L’Unità, da Renato Brunetta (Fi), Andrea Marcucci e Walter Verini (Pd), Fabio Rampelli e Federico Mollicone (Fdi), Stefano Fassina (Sinistra italiana), Riccardo Magi (+Europa), Riccardo Noury (Amnesty Italia), Giuseppe Basini e Massimiliano Capitanio (Lega), Alfonso Gianni  e Fausto Bertinotti che ha chiesto l’intervento del presidente Sergio Mattarella.

Di pentastellati neppure l’ombra. Anche se, come ha fatto notare il direttore di Radio Radicale Alessio Falconio, «il M5S non è un monolite, se Primo Di Nicola, Emilio Carelli e altri hanno firmato la petizione a sostegno della nostra radio: è un fatto che non si può cancellare. E che ci rende più forti nell’affermare il diritto del conoscere per deliberare». L’angoscia di queste ore si legge sul volto di Falconio e dei tanti redattori radicali presenti. «Siamo pronti a tornare», promette però Giulietti. Non sono soli. Forse non siamo soli.