Radio France «non ha scelta». Con questo refrain la direzione del primo servizio pubblico radiofonico francese ha motivato la decisione di tagliare 300 posti di lavoro. La replica dei lavoratori è stata pronta: una settimana di sciopero definito dalle organizzazioni sindacali un successo – «Il rifiuto del piano di ristrutturazione è stato compatto» si legge nel comunicato – e numerosi interventi e lettere aperte sui principali quotidiani d’oltralpe.
Il piano presentato dalla presidente (vicina a Macron) Sybile Veil, rimanda al taglio di 20 milioni nei finanziamenti pubblici alla radio, che a sua volta ne vuole economizzare 40 riducendo, appunto, il numero dei lavoratori. La scelta però più che economica appare politica: il taglio a Radio France è un nuovo passaggio nella strategia liberista del governo francese, siglato da un progetto sull’audiovisivo che non ne ipotizza alcuna modalità di finanziamento dopo il 2022, e che ha già colpito altri settori pubblici come scuola, sanità, trasporti. «Sopprimere 300 lavoratori su circa 4600 non significa ridurre il 6 % della massa salariale – scrivono lavoratori di Radio France in un intervento su «Liberation». E aggiungono: «Le professionalità che verranno cancellate riguardano nel 14 % dei casi giornalisti, tecnici, registi, documentaristi, musicisti. A questo punto, voi ascoltatori avrete un maggior numero di repliche, trasmissioni meno accurate, un’informazione inevitabilmente indebolita. Cosa produrremo la cui qualità potrà durare nel tempo? Abbiamo da poco festeggiato i vent’anni di Interception, il magazine dedicato ai grandi reportage su France Inter. Di cosa saremo fieri nei prossimi vent’anni?».

«FARE più con meno non ha funzionato nella sanità, nella cultura, nei luoghi dell’arte: perché dovrebbe funzionare in una radio?» si legge in un altro intervento pubblicato su «Le Monde». La scommessa dei lavoratori è dunque proprio questa: dimostrare il contrario cioè che Radio France la scelta ce l’ha eccome a fronte di una politica che sembra invece avere già deciso. E questa scelta sta nella qualità, nella varietà di offerta, nella presenza costante (e critica), dall’informazione alla cultura, che caratterizza i suoi 7 canali nazionali – da France Info, dedicato all’informazione a France Culture con programmi su cinema, musica, arte, scienza a France Inter – a cui si aggiungono 44 emittenti locali. In tutto più di 15 milioni di ascoltatori ogni giorno con una programmazione che – come si legge sul sito di Radio France – «vuole illuminare la creazione e la diversità culturale».

«HO SEMPRE ascoltato la radio, forse perché lascia libero spazio all’invenzione, si possono immaginare i volti delle persone che stanno parlando e i luoghi da cui trasmettono. Grazie a Radio France oggi possiamo avere programmi sulla filosofia, l’architettura, la fotografia, la musica, la pittura che è eccezionale per una radio; è un modo per produrre discussione, creare pensiero» dice  il regista francese Nicolas Philibert che a Radio France ha dedicato uno dei suoi bei film, La Maison de la Radio, ventiquattro ore nell’edificio circolare, a Parigi, progettato da Henry Bernard che ospita Radio France.

Il ministro della cultura, Franck Riester, sembra però di altro parere: «Lo sforzo che si richiede a Radio France è sostenibile» ha dichiarato appoggiando l’idea ribadita anche dalla presidente Veil che i tagli di personale e di budget non incideranno sulla qualità dell’offerta. Ovviamente un paradosso di cui i lavoratori di Radio France sono consapevoli. E se la mobilitazione continua, l’incertezza sulla situazione – in stallo – è molto forte, si teme di disperdere un bagaglio prezioso di conoscenze tecniche e di mestieri col blocco dei contratti ai più giovani. E soprattutto di scivolare in un abbassamentodella proposta inconcepibile in quello che appare uno dei luoghi di resistenza all’appiattimento culturale a cui una visione come quella macroniana sembra puntare con decisione.