Si parte comunque da lontano per parlare di questa storia. Dal fermento culturale di una città come Bologna, dalla voglia di non seguire le strade già percorse, una voglia che scaturisce in un certo humus e in un certo dinamismo che, per una serie di congiunzioni socio politiche (ed economiche), si sviluppano proprio in una piccola città. Il Movimento del ’77, come scrisse Freak Antoni «cavalcò l’utopia di una trasformazione possibile, l’ardire di un sogno rivoluzionario alternativo e positivo», significava sperimentazione, Radio Alice, Dams o le assemblee universitarie. Se oggi l’ironia, a causa della sua deriva/declinazione social, è diventata anche uno strumento retorico, aggressivo e destinato all’offesa, quello irriverente brandito dagli Skiantos, era il (meta)linguaggio della consapevolezza situazionista (quindi in parte inconsapevole) di una visione colta del messaggio, all’apparenza rozzo ma privo di cliché. Il punk rock demenziale, sghembo, paradossale, iconoclasta degli Skiantos fu un fulmine a ciel sereno in quegli anni. Perché tanto demenziale non era.

DA POCO è tornato in libreria la seconda edizione di Skiantos, sottotitolo Una storia come questa non c’era mai stata mai prima… e non ci sarà mai più (Goodfellas, pp 384 a colori, € 39), di Gianluca Morozzi che si è occupato di romanzare (esilaranti le possibili recensioni di Lester Bangs) e Lorenzo «Larry Arabia alla selezione del materiale e interviste, con la curatela di Oderso Rubini e Andrea Setti, all’interno anche un 45 giri con due tracce live del concerto a Gorizia del dicembre ’78. Un libro insolito, potente nella grafica, con il formato (23,5×28,5) che ricorda un catalogo d’arte o una graphic novel, in cui l’avanguardia si materializza davanti ai nostri occhi e resta avanguardia anche a decenni di distanza. Con il rock demenziale che diventa il luogo delle contraddizioni, capace di scavare e scovare le dinamiche della società, guizzando all’interno degli interstizi (o degli intestini) della stessa.

Se oggi l’ironia, a causa della sua deriva/declinazione social, è diventata anche uno strumento retorico, aggressivo e destinato all’offesa, quello irriverente brandito dagli Skiantos, era il (meta)linguaggio della consapevolezza situazionista

Una storia che inizia nel 1977 con la volontà di incidere in una notte un album, senza brani pronti e senza saper suonare, una prima prova a tutti gli effetti, il titolo dell’album è calzante, Inascoltabile, uno degli inni di battaglia della band è allora «Facciamo schifo ma abbiamo l’esclusiva». Più che suonare la band trascorre giorni interi ad ascoltare dischi, un anno dopo esce il 45 giri Karabigniere blues per poi uscire con l’lp MONOtono per la Cramps Records. All’inizio soprattutto sembrano degli spaesati contro tutto e tutti ma i visionari aforismi degli Skiantos si imprimono, cementificandosi nell’immaginario collettivo. Kinotto è un capolavoro.

DESCRIVERE tutto quello che si può trovare dentro al libro in queste righe è pressoché impossibile, si va avanti e dietro sulla linea del tempo, c’è anche il presente e un futuro immaginato, il Signore dei Dischi (dall’album del ‘92) che spiega a una band dei giorni nostri l’unicità degli Skiantos, i contributi di Vasco Rossi o Massimo Cotto e poi un dialogo aperto che corre in tutte le pagine fra i protagonisti come Dandy Bestia (Fabio Testoni/chitarra), Granito (Roberto Morsiani/batteria), Sbarbo (Stefano Cavedoni/voce), Oderso Rubini (produttore), ovviamente Freak Antoni e tanti altri, a ripercorrere le intenzioni ma anche le tensioni. Trent’anni di articoli di giornale, pagine di critica politica e della società, foto, gli attacchi alla musica impegnata rimanendo (pure loro) impegnati. Su gli Skiantos si è già scritto tanto ma sembrano un pozzo senza fondo da cui tirar fuori ragionamenti, interpretazioni e aneddoti. Tributi forse troppo tardivi.