Se la «memoria è uno specchio che mente in modo scandaloso», come scriveva Julio Cortázar, è altrettanto vero che proprio lo specchio è l’oggetto a cui, nella negoziazione di presente/passato/futuro, si demanda l’azione del riflettere il frammento di tempo che congela il ricordo come pure l’affermazione del sé, la prova di esistenza o l’attimo di pura vanità. Per Susana Pilar Delahante Matienzo (L’Avana 1984) che lo aveva usato anche per la performance A la historia se le mira de frente, nella serie Lo que contaba la abuela (2017) – in associazione con i grandi lightbox di foto dell’album di famiglia – diventa il dispositivo per riconoscere e celebrare il valore delle donne della sua famiglia, partendo proprio dalla nonna (citata nel titolo «quello che diceva la nonna»), una madre single coraggiosa e tenace come la stessa Asunción Matienzo Serra, madre dell’artista e le zie.

Suggestivo è l’allestimento nell’antica Sala delle Volte dell’azienda vinicola Tenuta Casenuove in Località S. Martino in Cecione a Greve in Chianti che ospita l’installazione nell’ambito della mostra omonima, secondo appuntamento del progetto Le Radici dell’arte (fino al 5 settembre). La collaborazione con la galleria Continua è confermata dall’entusiasmo di Philippe Austruy, imprenditore francese appassionato di arte e vini che nel 2015 ha acquistato la proprietà, affidando il restauro delle vigne e degli edifici al team diretto da Alessandro Fonseca. Il primo intervento artistico porta la firma di Pascale Marthine Tayou che ha disseminato nel paesaggio i suoi ironici «geni di Casenuove», dando al luogo l’imprinting di officina dell’arte. Stavolta è particolarmente significativa la scelta dell’artista cubana Susana Pilar che orienta da sempre la sua ricerca sulle tematiche di genere legate ai black studies e alla cultura afrocubana. Negli spazi sottostanti i due video presentano performance nate come azioni di resilienza: El Tanque (2015) riproposta nella collettiva Cuba. Tatuare la storia (2016) al Pac di Milano e Dibujo Intercontinental (2017, Biennale d’arte di Venezia).

Oltre alla violenza contro le donne, che a Cuba è una realtà critica (stando ai dati raccolti dall’Encuesta Nacional sobre Igualdad de Género, a causa della pandemia, nell’ultimo anno la violenza di genere è aumentata in maniera esponenziale arrivando a coinvolgere il 40% di donne vittime di violenza da parte del partner), l’artista i occupa anche di aggressioni più sublimali, come gli standard omologanti, partendo dai canoni di bellezza occidentali imposti dalla globalizzazione. Nel video Dibujo Intercontinental, in cui lei stessa tira una corda a cui è legata una barca di legno posta sul pavimento lastricato, la sua riflessione si sposta sul tema della migrazione. «Sto usando la barca come simbolo dei miei antenati cinesi e africani che sono stati trasferiti a Cuba con la forza sulle navi – afferma Susana Pilar – Mi vedo come il risultato di questo movimento, quindi utilizzo la barca come metafora».