È una questione di soldi? «Marco Pannella citava spesso Ernesto Rossi: “Gratta gratta, sotto la fede ci si trova la roba”», ricorda il segretario dei Radicali italiani Riccardo Magi. Oppure è una questione politica? «Radicali italiani non è stato costituito per avere una sua agenda politica, ma solo per far crescere la partecipazione in Italia attorno alle battaglie del Partito transnazionale», avverte il rappresentante legale del Partito radicale (non violento) Maurizio Turco. Quel che è certo è che la rottura tra i radicali che si definiscono pannelliani ortodossi (Turco, Bernardini, D’Elia) che controllano il partito, la lista Pannella e l’associazione Nessuno tocchi Caino, e i «radicali italiani» Magi e Cappato, radunati anche nelle associazione Coscioni e Non c’è pace senza giustizia, con i quali sono schierati Emma Bonino e Gianfranco Spadaccia, prenderà le forme di uno sfratto.

Il Partito ha un debito di un milione di euro, evidenzia Turco che ne è stato il tesoriere negli ultimi dodici anni. Ma ha due proprietà importanti. I mille metri quadrati della sede di via Torre Argentina a Roma, intestati a una spa controllata al 75% della lista Pannella (di cui Turco è presidente) e il Centro di produzione proprietario di Radio radicale, un’altra società le cui azioni sono per il 61,5% nelle mani della lista Pannella. Nella sede hanno sempre trovato spazio tutte le associazioni radicali, ma dal primo marzo si cambia. «La spa non può fare beneficenza, ridurremo gli affitti, trasferiremo l’archivio per non pagare più il magazzino, affitteremo un piano». Fuori i radicali «traditori», ci sarà spazio solo per le associazioni che condividono gli obiettivi del Partito, innanzitutto quello «esistenziale»: tremila iscritti entro la fine dell’anno o si chiude, lo ha deciso l’ultimo congresso (contestato da Magi e Cappato). Sarà uno sfratto: «Presa la decisione politica si tratterà solo di darle una conseguenza tecnica», dice Turco. Che conteggia anche un debito di 60mila euro dei radicali italiani in favore del partito, che però secondo Magi è «il frutto di scelte politiche fatte negli anni da Pannella e condivise da tutti, quando si è voluto investire sulle campagne in Italia per i diritti civili».

Ma soprattutto, aggiunge Magi, «Pannella ha sempre voluto garantire gli strumenti per fare attività politica a tutti i soggetti radicali, il patrimonio che ce lo consente è il frutto di decenni di battaglie comuni e adesso lo si vuole privatizzare». Iscrizioni, autofinanziamento, ma per la radio anche il finanziamento pubblico all’editoria (di cui beneficia anche il manifesto) e la convenzione con il ministero dello Sviluppo economico per la trasmissione dei lavori parlamentari, appena prorogata per il 2017 (10 milioni di euro). Radio che probabilmente non faticherebbe a trovare un compratore, non solo per le sue strutture ma anche per la sua riconosciuta centralità nell’informazione politica. È del resto il migliore strumento di visibilità delle battaglie radicali, e per questo è ugualmente terreno di scontro. Turco, nella mail agli iscritti con cui venerdì ha aperto le ostilità, ha annunciato una «ridiscussione del palinsesto». Lo ha fatto da editore, lasciando intendere che saranno ridotti gli spazi per le iniziative di Magi e compagni. Il direttore Alessio Falconio ha poi precisato che «la giusta richiesta della lista Pannella di rafforzare le trasmissioni dedicate alla campagna di iscrizioni del partito non sottrarrà spazio agli altri programmi e rubriche». Ma Turco non ci gira attorno: «È morto Pannella, non può morire una rubrica?». Anche perché «ormai l’attività politica di Radicali italiani non è costituente del Partito, tant’è vero che hanno appena lanciato una campagna concorrente per tremila iscrizioni, solo che se non ci riescono per loro non cambia niente, se non ci riusciamo noi chiudiamo». «Ma di che parla? – replica Magi – siamo noi che chiudiamo senza quelle tremila tessere. Loro hanno i soldi, hanno la sede, hanno la radio…».