Era il 1934, in Tunisia erano gli anni del protettorato francese, iniziato nel 1881 con il Trattato del Bardo e conclusosi nel 1954 per merito di Habib Bourguiba. Il torpore politico del Paese trovava un suo contraltare nello spirito di modernizzazione e autonomia nazionale promossi dal partito indipendentista Destur (Costituzione). In quest’ottica di antagonismo coloniale e valorizzazione identitaria nasce l’Associazione culturale e artistica al-Rachidia, primo istituto musicale del Paese. Era il 2014 e questo decano celebrava 80 anni dalla sua fondazione. Sede dell’associazione è l’antichissimo palazzo Dar el-Dey – costruito durante la dominazione ottomana – proprio al centro della medina di Tunisi, a due passi da Bab Mnara. Il suo nome, Rachidia, è un omaggio a Mohamed Rachid Bey (1710-1759): terzo sultano della dinastia husseinite e grande estimatore della musica, passione scoperta e coltivata grazie all’influenza della madre, un’aristocratica italiana. Rachid suonava l’oud (liuto di origine persiana) e il violino; ma soprattutto, ha promosso la diffusione del malouf, genere musicale di origine araba-andalusa importato in Tunisia, Libia e Algeria dai musulmani di Spagna perseguitati.

Oggi la Rachidia vive come un anziano signore vessato dal tempo, ma che ha ancora tanto da raccontare. Lo stato di decadimento dovuto agli anni, alle difficoltà e ai costi di manutenzione del palazzo, hanno reso necessaria la nascita di un progetto: il Dar al-Malouf. Leila Ben Gacem, fondatrice di Dar Ben Gacem – residenza e impresa sociale che lavora per la medina -, si sta occupando in prima persona, insieme ad altri soggetti della società civile, della realizzazione del piano di recupero della Rachidia. «Sono 50 anni – ci racconta Leila Ben Gacem – che il palazzo Dar el-Dey reclama una seria ristrutturazione. È in piedi dal XVII secolo, non può resistere ancora a lungo in quello stato».

Cosa rappresenta la Rachidia per la città di Tunisi?
È un’associazione dai mezzi modesti, ma è anche la ragione di un orgoglio nazionale che la Tunisia vuole accrescere a livello globale: è il motivo per cui la società civile è intervenuta. Rappresenta comunque un punto di riferimento per i molti amanti della musica in questo Paese.

Salvare la Rachidia non vuol dire soltanto preservarne l’architettura, ma recuperare l’archivio culturale. È così?
Si può dire che queste siano le due motivazioni per cui, durante le celebrazioni per il suo 80esimo anno, abbiamo deciso di dare vita a questo progetto in maniera concreta e costruttiva. Uno dei nostri obiettivi è digitalizzare tutto l’archivio musicale contenuto al suo interno, così da difenderlo e renderlo accessibile. Pensi che ci sono musiche che dagli anni ‘20 non sono state mai più ascoltate.

Come si struttura il progetto Dar al-malouf?
Abbiamo pianificato tre fasi. La prima prevede una catalogazione di tutto il materiale presente negli archivi: dischi e spartiti musicali, verranno poi digitalizzati in un formato «accademico». La seconda fase concerne la creazione di una biblioteca online alla portata di studenti, musicisti, compositori. La terza fase, quella più complicata e costosa, riguarda l’adeguamento strutturale del Dar el-Dey. Gli interventi necessari sono tanti, a partire dalla messa in sicurezza dei muri portanti, che presentano crepe frequenti e visibili.

Che senso acquista il lavoro che vi prefiggete?
Il patrimonio architettonico, Dar el- Dey, e culturale, il malouf tunisino, rappresentano a tutti gli effetti la memoria della nostra umanità. Ma c’è di più: sono la leva principale del turismo, già messo in crisi dal terrorismo, dai recenti attentati. Molti programmi di formazione professionale musicale contribuiscono alla ricchezza del Paese. Per questo, occuparci della Rachidia è un obbligo sociale.

Dove prenderete i fondi per la realizzazione di questi lavori?
Abbiamo avviato una campagna di crowdfunding per essere in grado di portare a termine almeno le prime due fasi del progetto. La terza, come le dicevo, è quella che richiede costi maggiori. Per questo stiamo seguendo una scrupolosa strategia di comunicazione che ci permetta di raggiungere quanto prima finanziatori affidabili. Per ora i nostri sostenitori più «fedeli» sono le associazioni e i moltissimi tunisini espatriati nel Golfo o in Europa.