Parlando del suo spettacolo (in scena fino a domani, al Teatro India di Roma) Fabrizio Arcuri dice: «L’Europa non è solo un territorio, una comunità politica, una geografia culturale: l’Europa è il nostro confine. Non importa se noi, ora, siamo quelli che stanno dentro o fuori. In fondo non esiste ‘dentro o fuori’; esiste solo un ‘di qua o di là …».

 

 

Sweet Home Europa, titolo che appare come un paradosso se pensiamo alle immagini della cronaca in questi giorni, alle parole gonfie di retorica sui migranti (ma anche su conti dei paesi europei) si confronta proprio con i nervi scoperti del nostro presente di occidente europeo a partire dal testo di Davide Carnevali, drammaturgo giovane e già molto riconosciuto – ha vinto tra l’altro il Premio Riccione con Ritratto di donna araba che guarda il mare.

 

 

Sweet Home Europa racconta un esodo, un’odissea contemporanea e fuori dal tempo in cui il Giardino del mondo si trasforma in Deserto, attraversato da violenze,indifferenza, crudeltà, guerre, cinismo, speculazioni. A dare vita a questa metamorfosi sono tre figure più che tre personaggi, un Uomo, una Donna, l’Altro Uomo, e le variazioni dei loro rapporti rimandano alla nostra esperienza quotidiana. Si parla di migranti, qualcuno che arriva in un altro luogo e vende rose, non ha soldi, vive male ma a casa mente e dice che ha trovato una donna. Di pregiudizi reciproci, di stati che divorano nelle economie distorte altri stati. Di religione che diventa rifugio e rivendicazione trasformandosi così in una nuova arma di oppressione. Di guerre come quelle in Siria o in Iraq, di bombe, di morte, di gente che cerca di scappare. A ogni movimento il nucleo originario, Uomo, Donna, Altro Uomo si riforma e ricomincia.

 

 

Arcuri traduce il testo nel rispetto dell’astrazione, anzi ne mette in scena la cifra (molto ambiziosa) da opera-mondo in una dimensione postmoderna tra commedia, tragedia, teatro dell’assurdo. Gli attori (Francesca Mazza, Matteo Angius, Michele di Mauro) diventano segni, archetipi sospesi sul crinale di una continua vertigine, quella appunto del testo.
Musica live (dei Marlene Kuntz), parole proiettate, disvelamento della «finzione» che ne cerca la verità, Sweet Home Europa rischia però di perdersi nella sua stessa frantumazione (o monumentalità), non riuscendo a mantenere fino in fondo la sfida di essere un terreno aperto, ricerca di un linguaggio inatteso sul presente.