Ha scritto Bianchi, rossi, gialli, neri un fortunato girotondo pacifista per i bambini di tutto il mondo. Aveva già messo in musica le liriche di Gianni Rodari, compresa La torta in cielo e ora insegue «un punto piccolissimo nel mare delle nuvole/nel posto dove vanno a riposare i palloncini». L’elegante cantautore Paolo Capodacqua, per oltre venti anni chitarrista e collaboratore di Claudio Lolli (da cui ha inevitabilmente appreso il magistero delle parole e degli accordi, avendo in mente Brassens e De Andrè), ha realizzato il suo nuovo album, Ferite e feritoie, con l’aiuto di un rapido crowfunding per l’etichetta Storie di note, tornata ad affacciarsi sul Belpaese dopo aver trovato casa a Parigi.

Un disco sorprendente e gradevolissimo per le sofisticate ambientazioni sonore (dovute agli arrangiamenti calorosi e incisivi del polistrumentista Giuseppe Morgante), per l’atmosfera delicata complessiva, per le tematiche insolite guardate con gli occhi di quelli che stanno dall’altra parte di quelle piccole aperture nelle mura, di quelli che intuiscono paesaggi inconsapevolmente, di strappi nel tessuto bene illustrati nella copertina e nei disegni smaglianti di Enzo De Giorgi.

LE PAROLE educate in primo piano con le strofe sostenute da una fisarmonica tzigana in Gli amanti segreti o lo swing jazz raffinato di Il ladro o l’intermezzo di violino per I nidi degli uccelli, un viaggio senza ritorno dei tanti fuggiaschi dalla violenza, i migranti sfuggiti ai naufragi anche nella ballata malinconica L’uomo senza nome.

E SI MATERIALIZZANO altri protagonisti dai toni chiaroscurali per una canzone d’autore, intarsiata e riflessiva, tradizionale e attuale, dieci brani più la cover gucciniana L’albero e io, coi numerosi amici che hanno condiviso il percorso, dal narratore Roberto Piumini ai colleghi Kay Mc Carthy e Pippo Pollina, l’attrice Naira Gonzalez e, tra i molti musicisti, Juan Carlos «Flaco» Biondini, Michele Gazich e Nicola Alesini. Tante suggestioni letterarie prendono forma nelle sequenze ritmate come Canto dell’Aviatore e Rosafiore, liberamente ispirate a Le Petit Prince di Antoine De Saint-Exupéry o Per questo mi chiamo Giovanni, la figura del magistrato Giovanni Falcone rievocata tra i vicoli e i giardini della sua città.

E NATURALMENTE la magnifica Gli occhi neri di Julia Cortez, il singolo accompagnato da un bel videoclip, la maestrina di La Higuera, in Bolivia che vide Ernesto Guevara, già catturato dai militari, poco prima dell’esecuzione e non ha dimenticato quello sguardo fiero e ha messo quel nome a suo figlio, una suggestione nata dopo aver letto un reportage dell’amico e scrittore Angelo Ferracuti. Tra il vento della cordigliera e la ricerca di libertà, la canzone raggiunge un armonico equilibrio di timbro vocale personalissimo, suadenti percussioni e straordinaria grazia formale, aggiungendosi al magnifico canzoniere universale dedicato al Che (e da segnalare al Premio Tenco come canzone dell’anno).