Racconti di donne sui bordi dell’immagine
Intervista Conversazione con Teresa Villaverde, tra i protagonisti del nuovo cinema portoghese degli anni Novanta. Il Bergamo Film Meeting le ha dedicato la retrospettiva
Intervista Conversazione con Teresa Villaverde, tra i protagonisti del nuovo cinema portoghese degli anni Novanta. Il Bergamo Film Meeting le ha dedicato la retrospettiva
Il cinema di Teresa Villaverde è sempre attraversato da una duplice, impetuosa corrente: il flusso geografico e di coscienza delle sue protagoniste e gli spaesamenti fra parole e immagini, memore della «mise-en-trance» di Marguerite Duras, in equilibrio perfetto e precario fra il realismo più crudo e la potenza espressiva di una visione affilata. Emersa all’inizio degli anni ’90, insieme a compagni di scuola dell’ESTC di Lisbona come Pedro Costa e Joao Pedro Rodrigues, Teresa Villaverde, fin dal suo esordio a soli 25 anni con A Idade Maior, ha disegnato, con l’acqua e le grida del suo Portogallo, i chiaroscuri di anime erranti, donne in eterno transito come in Três Irmãos e Transe dove il classico melodramma è scardinato da gelide scene madri, abitate da uno spettro infantile che spesso rivendica un solido passato non ancora contaminato dal dolore e dalla violenza. Un cinema d’ipnosi sensoriale, di ricorrenze visive e psicologiche, di ferite umane mai cicatrizzate, ospitato per intero nella sezione «Europa: Femminile Singolare» del Bergamo Film Meeting che si è concluso domenica.
Una retrospettiva completa regala sicuramente felicità ma immagino che obblighi un regista a riflettere sul proprio passato, sbirciando i giorni futuri. Come hai accolto questo omaggio del Bergamo Film Meeting?
Questa è la quarta retrospettiva della mia vita e la seconda in Italia dopo quella ad Alba di alcuni anni fa. All’inizio provo sempre molta gioia e gratificazione poi subentra la paura e la depressione. Detesto rivedere i miei lavori perché c’è sempre qualcosa che rifarei, e quindi mi tengo lontana dalle mie vecchie immagini. Riguardo al futuro la cosa che più mi preoccupa è che in questi anni di crisi, imposta dalle banche e da altre istituzioni, i fondi per il cinema sono davvero pochi . In Portogallo solo quattro film all’anno possono avere i finanziamenti statali ma per fortuna abbiamo il totale controllo creativo sulle nostre opere. Tornando alla mia presenza nella sezione «Europa: Femminile Singolare», spero che nel futuro non verrà più sottolineato il fatto di essere registe donne anche perché di solito dobbiamo sempre subire domande riguardo alle nostre storie personali, come se i nostri personaggi femminili fossero una diretta derivazione autobiografica.
Parliamo di nuovi progetti. Hai recentemente dichiarato che a settembre tornerai sul set per un film che si chiamerà «Colo», sottolineando l’intraducibilità di questa parola. Puoi raccontarci qualcosa del film e di questo «mistero» lessicale?
Il film racconta il Portogallo di oggi, potrei dire anche l’Europa odierna, e tutti i problemi che riguardano la disoccupazione ma in un contesto molto piccolo, composto da pochissime persone in una famiglia poco numerosa. Cercherò di raccontare gli effetti che la disoccupazione dei genitori ha sui figli adolescenti e come i ragazzi percepiscono il disagio di questi genitori e della società. «Colo» in portoghese può significare «grembo» ma in realtà può significare molte cose mentre in altre lingue va tradotto solo come «grembo» appunto. Tra le tante sfumature, di madre lingua esprime anche la voglia di calore, di coccole e affetto. È molto buffo perché questa parola è arrivata all’improvviso mentre giravo un documentario, che ha lo stesso soggetto, ed era usata da tanti ragazzi che ho incontrato, come se fosse un desiderio comune delle nuove generazioni
Anche «Os Mutantes» nasceva come documentario e poi si è trasformato in un film…
È vero, l’approccio è stato identico ma la sola differenza rispetto a quasi vent’anni fa è che questa volta farò anche il documentario, cosa che non ero riuscita a fare per Os Mutantes, forse perché ero ancora giovane e un po’ inesperta.
A proposito di giovinezza, il tuo esordio al cinema avviene a soli 18 anni ma come attrice per César Monteiro. Quando è nato il desiderio di dirigere film?
Ho sempre desiderato essere una cineasta anche se la mia prima volta sul set è stata per il film À Flor do Mar di César Monteiro. Grazie a quell’esperienza, splendida e delirante anche perché Monteiro era produttore del film e quindi puoi immaginare il delirio durante le riprese, ho conosciuto molte persone che mi hanno fatto crescere. Poi ho iniziato a scrivere le mie sceneggiature, ero davvero giovane quando ho avuto le prime sovvenzioni statali, cosa che mi ha anche procurato parecchie inimicizie tra i miei colleghi. In molti potrebbero pensare a una discriminazione di «genere» ma si trattava semplicemente della mia età.
Rivedendo tutta la tua filmografia, è netta la sensazione di una libertà assoluta rispetto ai codici della narrazione classica ma anche verso la definizione dei tuoi personaggi. Quando comincia la libertà di un film dentro di te?
Rispondo diversamente per ogni film perché a volte i personaggi crescono dentro di me grazie a un’immagine o a qualche frase attraverso le quali si delineano già i loro movimenti. Sono queste piccole sensazioni, capaci di accompagnarmi per molto tempo, che crescono e lentamente si appropriano della fisicità di una sceneggiatura. Nonostante molti dei miei film trattano questioni sociali, non ho mai «programmato» determinati discorsi, sono semplicemente emersi. Quando ho girato Os Mutantes incontravo per le strade gruppi di bambini e ragazzi che ciondolavano tutto il giorno per la città. Avevano bisogno di luoghi nascosti e all’epoca Lisbona era «disabitata» lungo il fiume, la zona che ora è piena di locali, quindi potevo osservare questa vitalità costretta alla fuga. Così è nato il film nella mia mente, mentre per Agua e Sal, un film su una donna «in pausa», avevo bisogno del mare che credo sia il luogo migliore dove concedersi una sosta, regala un’energia positiva perché qualcosa di buono può venire sempre fuori dalle acque. Il mare ha sempre qualcosa da darti.
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