Espropriare i padroni degli affitti. Non è un “sogno da comunisti” ma la realtà del referendum popolare di Berlino previsto per il prossimo 26 settembre, dopo che ieri l’ufficio elettorale del Land ha certificato ufficialmente le firme raccolte dall’associazione Deutsche Wohnen & Co. enteignen. Un numero record mai registrato prima nella storia della capitale tedesca: 259.063 sottoscrizioni, di cui 272.941 ritenute valide dall’autorità statale: ben oltre le 175.000 previste dalla legge.

ORA IL SENATO DI BERLINO entro due settimane dovrà fissare la data del voto che in ogni caso (così prevede la normativa vigente) coinciderà con il giorno delle elezioni statali e nazionali. Il quesito approvato in via definitiva prevede che le abitazioni dei grandi gruppi immobiliari proprietari di oltre 3.000 alloggi – come Deutsche Wohnen, Vonovia e Akelius – debbano essere «socializzate» come prevede l’articolo 15 della Legge Fondamentale, equivalente della Costituzione. E non all’impossibile prezzo di mercato derivato dalla speculazione immobiliare bensì secondo l’indennizzo sostenibile per lo Stato che comprerà gli alloggi accendendo un prestito garantito dagli stessi affitti. Il patrimonio di case sottratte al monopolio dei grandi gruppi del mattone verrà quindi trasferito a «un’istituzione di diritto pubblico amministrata attraverso la partecipazione democratica della comunità di cittadini e affittuari, il cui statuto preveda il divieto di privatizzare gli appartamenti» spiegano i promotori del referendum.

«È l’unica soluzione al modello di business dei grandi gruppi immobiliari che fanno profitto grazie agli affitti crescenti. Deutsche Wohnen è costretta ad aumentare di continuo i prezzi perché solo così può garantire agli azionisti i dividendi promessi. Per le loro dimensioni Deutsche Wohnen & Co influenzano l’intero mercato di Berlino. Abbiamo calcolato che la socializzazione ridurrebbe l’affitto di ben 240 mila alloggi»

Un incubo per gli immobiliaristi ma anche per gli sparring-partner politici di Cdu e Fdp: avevano appena finito di festeggiare la bocciatura della legge sul tetto degli affitti di Berlino da parte dei giudici di Karlsruhe.

In pratica per gli speculatori del mattone le lancette dell’orologio tornano indietro ai tempi del crollo del Muro. «Rivogliamo le nostre case. La maggior parte degli alloggi di proprietà dei grandi gruppi apparteneva allo Stato, costruite e pagate con i soldi dei berlinesi. Prima che il Senato li svendesse agli immobiliaristi a prezzi ridicoli» ricordano gli attivisti dell’associazione per il diritto all’abitare.

IN PIÙ DI DUEMILA, nonostante la pandemia, per mesi hanno battuto la città con una campagna letteralmente porta a porta. Incontri, dibattiti, confronti pubblici aperti a tutti, mentre si gonfiava il numero di attivisti di qualunque nazionalità. Come Berta Del Ben, 32 anni, italiana con un passato di lotte per i diritti a Padova, che a Berlino di mestiere fa l’attrice di teatro, pronta a investire il suo tempo libero nell’«iniziativa che mi ha riportato a fare politica». Una partecipazione sintomatica che restituisce parte del clamoroso successo del movimento «Questa campagna è un momento storico non solo per il massiccio coinvolgimento umano ma perché è un tentativo concreto e intelligente di intervento anticapitalista. Mi importa che ciò avvenga nella città dove vivo, cioè che succeda a casa mia».

IN PARALLELO secondo Deutsche Wohnen & Co enteignen la ri-socializzazione degli alloggi ex pubblici non permetterà soltanto affitti accessibili ma anche «la protezione delle piccole imprese, gli spazi artistici e per la cultura giovanile, un tetto per i rifugiati e anche per chi cerca riparo dalla violenza domestica». Fino ieri era poco di un’utopia. Da oggi una richiesta «legalmente ammissibile» perfino per il servizio legale del Bundestag e della Camera dei deputati di Berlino.