A dieci mesi dal primo lockdown ci rendiamo conto delle molte fasi emotive di cui è fatta l’esperienza pandemica: la paura, il dolore, la rabbia, l’inerzia, la speranza, la voglia di ricominciare e poi la delusione, il timore di non poter prevedere una fine, di non riuscire a percepire il senso di una prospettiva. La scorsa estate ci ha dato la sensazione che tornare a respirare fosse possibile, che riaffiorare dal letargo si potesse e si dovesse. Ed è all’insegna di questa postura che nel mese di luglio si è svolto il Festival di Santarcangelo. L’edizione del cinquantenario, con la direzione artistica affidata ai Motus, è stata ridimensionata e ripensata certo ma, soprattutto, si è trattato di un’edizione d’emergenza nel senso di «atto che fa emergere» possibilità creative, di condivisione, di incontro.

IN TALE cornice si è inserito il progetto Transfert per Kamera di Filmmaker festival che ha coinvolto cinque giovani autori passati al festival milanese negli ultimi anni perché offrissero un punto di vista personale ed eccentrico su cinque spettacoli in programma a Santarcangelo. Il progetto, curato da Luca Mosso e Matteo Marelli, era di «restituire il ‘respiro’ di una macchina da presa che diventa corpo/occhio partecipante. Non una versione cinematografica, né mera documentazione filmata: piuttosto, un incontro dove l’immagine audiovisiva si muove ‘verso’ l’operazione teatrale e le gira intorno alla ricerca di un dialogo». Ne è nato un film collettivo, costruito per segmenti in successione ciascuno dedicato a una coppia cineasta-performance, e intitolato La città del teatro, ora visibile da oggi, domenica 6 dicembre, fino a mercoledì prossimo sulla piattaforma MYmovies da oggi, domenica 6 dicembre per 72 ore.

Ogni segmento mostra come ciascun filmmaker abbia escogitato dispositivi propri a far dialogare arti della scena e arti dello schermo dando vita a un’opera terza, ibrida, nuova e per nulla assimilabile all’esperienza di visione di chi era presente agli spettacoli. Tale risultato emerge, per esempio, dalla scelta di osservare il prima e il dopo dell’accadimento teatrale, come nel caso di Leandro Picarella che in La casa ha gravitato attorno a Family Affair di ZimmerFrei mostrando anche il dietro le quinte, l’attesa, la preparazione, il grande spazio all’aperto in cui il gruppo di cittadini coinvolto nel progetto teatrale si è riunito per ritrovare concentrazione, affiatamento e quella tessitura di legami all’insegna della quale il festival stesso si è svolto.

«NEL CONCEPIRE il tessuto drammaturgico di questa edizione, stiamo intrecciando fili che, dal passato, si immergono nelle tensioni del presente e si espandono verso texture future, anche se l’attitudine a immaginare il domani, pare sempre più affievolirsi» ha scritto Daniela Nicolò di Motus sul catalogo di Santarcangelo. Dal pieno sole del pomeriggio, il gruppo riunito da ZimmerFrei e filmato da Picarella scivola lentamente nella notte, da sotto a sopra il palco e con il favore del buio si dedica a un affresco corale sul tema della famiglia contemporanea e dell’intreccio tra lingue, culture e confessioni.


C’è chi si è concentrato sul rapporto tra materia e suono, come Riccardo Giacconi che apre il film (Jardin) con alcuni momenti di Se respira en el jardín como en un bosque di El Conde de Torrefiel. Concepita per sole due persone, una in scena e una in platea, tale esperienza teatrale si presta al pedinamento del soggetto in azione da parte della macchina da presa e del microfono, tutti tesi a cogliere il gesto, il suo ritmo e l’imprevedibilità del suo respiro. Il close-up e la super slow motion sono invece gli strumenti visivi privilegiati da Chiara Caterina (Pugno) per accostarsi al corpo della danzatrice Cherish Menzo in Sorry, But I Feel Slightly Disidentified… di Benjamin Kahn. Il corpo protagonista è talmente potente da non poter essere guardato direttamente e nel suo insieme ma solo diviso a porzioni da esplorare progressivamente. Menzo si spoglia un pezzo alla volta ed è come assistere a un’esplosione al rallentatore o a una fioritura in time lapse. Prima, al ritmo di una musica elettronica, volano in aria le foglie esterne una ad una, veli colorati che schermano la carne, poi è silenzio e pian piano guizza fuori lei in tutta la sua prorompenza. Non a caso una sequenza del video è diventata la sigla di Filmmaker di quest’anno.

CI SONO infine performance che offrono ai videomaker occasioni di riflessione sui contorni non sempre netti tra attori e spettatori, tra produzione e fruizione. Enrico Maisto, per esempio, conduce un lavoro ottico che in L’assemblea lo porta letteralmente a sfumare il corpo di Andrea Argentieri, interprete di Primo Levi in Se questo è Levi di Fanny & Alexander, mentre si aggira in un tribunale con una giuria composta dagli stessi spettatori. Il film si chiude con Maria Giovanna Cicciari (La Piazza) che si addentra nel mondo pittorico e gestuale di Virgilio Sieni, immergendosi tra le fila della cittadinanza di Santarcangelo coinvolta nella coreografia Quattro lezioni sul corpo politico e la cura della distanza. Una riflessione visiva e spaziale che continua a parlare al presente.