Racale, 11mila abitanti, 54 km più a sud di Lecce, 34 prima del finis terrae di Leuca. All’ingresso, un cartello con l’arcobaleno: «Racale città antirazzista. La nostra comunità conosce solo una razza, quella umana». La piazza del paese dista 1057 km dalla scuola di Lodi, diventata famosa per i tentativi leghisti di escludere i bambini migranti dalla mensa. In questo spazio racchiuso dai palazzi in pietra leccese, domenica è andato in scena il «Pranzo a colori».

Sottotitolo: «Perché noi il pane lo condividiamo».

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Già quest’estate, Metallo era balzato agli onori delle cronache nazionali con un’altra iniziativa in controtendenza rispetto alle politiche leghiste. Stava per iniziare l’operazione di controllo a tappeto dei litorali voluta da Salvini contro i venditori ambulanti.

Metallo scrisse una lettera pubblica al Ministro dicendo che non avrebbe schierato i vigili urbani in una guerra tra poveri. «Volevo difendere un concetto diverso di legalità. Che non passa per il sequestro di mandorle, cocco o accendini, ma per la difesa del territorio contro i reati ambientali e per l’uso dei soldi pubblici per biblioteche, teatri comunali e messa in sicurezza delle scuole». Tra i tavoli allestiti nella piazza di Racale circolano saltimbanchi e paste al forno, vino locale e pane fatto in casa.

Ognuno ha portato qualcosa e tutti mangiano insieme. Cittadini di Racale di nazionalità italiana e cittadini di Racale di nazionalità straniera, ragazzi delle scuole e ragazzi degli Sprar. «È una bella iniziativa, ho conosciuto tante persone e mi piace la cucina salentina», dice Amra, che ha dovuto lasciare la Guinea Konakry durante gli studi superiori e adesso vive in un progetto di accoglienza a Tricase. Gina Caroli è tra le ideatrici del «pranzo a colori»: «Con questa iniziativa abbiamo voluto dare un pugno nello stomaco a chi ha pensato di discriminare dei bambini. Non ho parole per gente di questo tipo. Quando si spezza il pane, bisogna condividerlo con chiunque hai di fronte, al di là del colore della pelle o dell’etnia».

È d’accordo anche Genuino Verri, 89 anni, bandista, poeta, scultore, «ma soprattutto contadino». Si aggira tra i tavoli appoggiato al bastone, salutando tutti. Ogni tanto recita una poesia. Alle spalle ha un passato da emigrante, come tanti da queste parti: sei anni in Svizzera, tra il 1960 e il 1969. «Questo pranzo serve a dimostrare che siamo uniti, che siamo una grande famiglia, che siamo tutti uguali come esseri umani».