Yitzhak Rabin, assassinato dallo studente ebreo Yigal Amir la sera del 4 novembre del 1995 a Tel Aviv, è ricordato dagli israeliani come “Mr. Sicurezza”, il comandante militare dal pugno di ferro con gli arabi ma deciso a raggiungere, grazie gli Accordi di Oslo del 1993, una intesa di pace definitiva con l’Olp di Yasser Arafat. Ai palestinesi invece Rabin ricorda le espulsioni di popolazione araba nella zona di Tel Aviv-Lod durante la guerra del 1948, l’ordine di spezzare le braccia a chi lanciava sassi durante la prima Intifada, assieme al ricordo della breve stagione della speranza (1993-95) quando anche loro furono avvolti dall’illusione di un accordo di pace sulla base di “Due popoli, due Stati”. Venti anni dopo l’uccisione di Rabin, uno degli omicidi politici più clamorosi del secolo scorso, ben poco resta tra gli israeliani, soprattutto tra quelli più giovani, dell’azione politica del premier e leader laburista.

 

L’assassinio di Rabin avvenne a Tel Aviv al termine di una ampia manifestazione in sostegno agli accordi di Oslo, nella piazza dei “Re di Israele”. Yigal Amir, uno studente della Bar Ilan University legato al gruppo “Eyal” (estrema destra religiosa), grazie alla disattenzione dei servizi di sicurezza – del tutto impreparati ad affrontare un attentato da parte di un ebreo – riuscì ad avvicinarsi al lato della piazza dove Rabin era atteso al termine del comizio. Mentre il primo ministro si accingeva ad entrare in auto, Amir sparò due colpi con una Beretta che ferirono mortalmente Rabin. L’attentatore, che non si è mai pentito, spiegò il suo gesto con l’intenzione di impedire la restituzione ai palestinesi di porzioni di “Eretz Israel”, la biblica terra di Israele. A motivarlo fu senza dubbio la campagna d’odio attuata dalla destra, anche parlamentare, contro Rabin e le giustificazioni all’omicidio offerte, Talmud alla mano, da rabbini residenti nelle colonie ebraiche in Cisgiordania. Sotto accusa finì in parte anche l’attuale premier Netanyahu, a quel tempo uno dei leader dell’opposizione, che non fu mai perdonato dalla famiglia di Rabin per i suoi attacchi al vetriolo nei confronti del premier.

 

L’assassinio del 4 novembre 1995 è stato studiato e analizzato in ogni suo angolo e nel corso degli anni sono state formulate teorie che vorrebbero Amir come un semplice esecutore di un piano articolato che coinvolgerebbe parti dello Stato e delle sue forze di sicurezza. Secondo lo scrittore Barry Chamish (ex agente dei servizi segreti israeliani) Amir fu vittima di un’operazione-trappola orchestrata dallo Shin Bet (controspionaggio). In realtà non uccise l’ex premier israeliano. Gli sarebbe stata fornita dagli agenti dello Shin Bet una pistola caricata a salve. Colto in flagrante ora paga per quel delitto mentre Rabin sarebbe stato ucciso successivamente mentre era nell’auto che lo portava all’ospedale. E’ soltanto una delle tante tesi complottiste circolate nei mesi e negli anni successivi all’assassinio del primo ministro israeliano.