La prima parte di Nocturama – che apre oggi a Milano il festival Filmmaker – è un movimento costante. Bonello filma dei giovani che attraversano Parigi. Li vediamo entrare ed uscire dalla metropolitana, penetrare degli edifici sorvegliati, scambiarsi dei messaggi più o meno cifrati, comunicando e agendo ogni volta senza proferire parola. Non è chiaro quale sia il loro obiettivo. Ma si capisce che ne hanno uno in comune. La seconda parte del film è statica. Dopo l’azione terroristica, il gruppo trova rifugio in un grande magazzino del centro. Tra l’una e l’altra parte, ogni sorta di opposizione arricchisce la dicotomia fondamentale dell’azione e del riposo. Il gruppo agisce come un meccanismo. È un congegno che è stato caricato. Ma da chi? Cos’hanno questi giovani in mente? Bonello, un po’ per non lasciarci nella nebbia, un po’ per dare un volto e una voce ai suoi eroi, riempie l’azione di flashback dove veniamo a sapere come questi ragazzi, tutti poco più che adolescenti, e di origini diverse si sono incontrati. Ma resta volutamente vago sulla forza che agisce su di loro. Ideologia? Religione? Una combinazione di entrambe?

Dall’altro lato, quello della notte che segue l’azione, il meccanismo sembra quasi essersi spezzato. Ogni pezzo, ogni rotella del gruppo d’azione vaga per conto suo. In questa fase, ci si sarebbe potuti aspettare una sorta di redenzione: le bambole sono tornate alla realtà. Bonello è molto abile a disinnescare quest’idea manichea. Il dopo è piuttosto una dispersione, in un certo senso più alienante che l’azione. È un camminare senza moto in un paese dei balocchi nel quale non c’è felicità, e neppure vera gioia. Da questa dispersione viene anche una certa difficoltà del film ché sembra girare in tondo. Eppure la prima parte non è che un preambolo, lungo e complesso, piacevole, quasi ludico, come la lunga introduzione metropolitana de I Guerrieri della notte. Una sorta di introduzione. Bonello voleva portarci in questa notte. Ma perché ?

Diciamo dove non ci vuole portare. Nocturama è lontano da un film sugli eventi sanguinosi di gennaio e di novembre. Come Bonello precisa nell’intervista che il manifesto ha pubblicato in occasione dell’uscita francese (11 maggio), il film è stato concepito prima degli attentati. Entrare in questa notte avendo ancora impresso nella mente le stragi è in una certa misura inevitabile. Ma è una falsa pista. Il terrorismo che Nocturama inscena non è per nulla quello che ha agito a Parigi. Allora cos’è ? E poi, cosa farsene ?

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Alla prima domanda, il film risponde: io sono un film di Bonello. Vale a dire un film che cerca di chiedersi come mettere in scena un certo tipo di utopia. In questo senso, Nocturama è anche il contrario di un film politico. È un film che cerca di dare un’immagine ad una questione del genere: come si può evitare la politica ? Come ci si separa dal conflitto politico? Da anni Bonello mette in scena questa domanda. Da tempo cerca di dare una forma a questa uscita dal politico. I suoi personaggi si rifugiano in luoghi dove si può vivere come dovrebbe un poeta secondo Mallarmé: in aristocratico disdegno. La casa chiusa dell’Apollonide era uno di questi luoghi magici e in qualche modo mistici. C’era certo violenza, nella casa chiusa. Ma non c’era un popolo. Nemmeno una classe. Certo non uno Stato o delle leggi a regolarne la vita. Ci sono dei gruppi, delle sette, dei riti.

E in Nocturama? Il gruppo d’azione distrugge non tanto per creare una nuova società, prendere il potere, o per far cadere un certo regime. C’è una rabbia e questa rabbia trova degli obiettivi concreti: un ministero, la statua di Giovanna d’Arco. Ma l’obiettivo è il potere in quanto tale. Come se ne potesse far saltare, una volta per tutte, il concetto. E poi? Cosa trovano i nostri eroi nel palazzo del Beau Marché ? Il titolo originale, scartato dopo gli attentati per ovvi motivi, era: «Parigi è una festa». La festa non è nell’esplosione. Non è neanche tanto nell’eccitazione ludica che precede l’azione – come nella famosa scena a colori di Ivan il terribile, dove la guardia dello zar mette in scena danzando e ballando lo sterminio dei boiardi. La festa è il dopo. E la cosa curiosa del film è che questo dopo somiglia molto ad un prima. Come in Dawn of the dead (Romero 1978), dove un gruppo di sopravvissuti all’alba dei morti viventi si rifugia in un centro commerciale, anche qui il dopo è un modo per mettere in evidenza l’oggi. Qui, il sogno di un mondo liberato dal problema del potere è uno specchio della vita attuale: una sorta di sonnambulismo consumeristico, dal quale non ci svegliamo nemmeno quando la polizia viene a farci la festa.

Il pericolo non è fuori, nel mondo. È dentro. È nell’esperienza interna, nella quale in un primo tempo ci si rifugia, ma dalla quale non si esce. Peché il consumerismo riacchiappa e consuma. Ma non solo e, in fondo, non tanto. Una delle immagini più forti del film, in cui uno dei terroristi scopre di essere vestito come un manichino (o viceversa) è in questo un indizio e un ostacolo.

È chiaro che Bonello mette i propri eroi davanti ad una certa ingenuità, ad una certa contraddizione. Ma questa c’è in ogni rivolta. E la loro ambiguità morale non fa che ribadire la loro normalità. L’angoscia che Nocturama cerca di mettere in scena è più profonda ed esistenziale, è quella di colui che, avendo fatto saltare tutto in aria si ritrova infine nel vero inferno: solo a tu per tu con se stesso.